Camera di Consultazione permanente della sinistra
Gruppo di lavoro "Governo locale e democrazia partecipativa"
Coordinatore Alberto Magnaghi
Documento programmatico
1. Promuovere l'autogoverno
Qual è il ruolo che attribuiamo ai governi locali nel programma di governo della sinistra? E' una questione di vitale importanza per la democrazia e per sperimentare alternative al neoliberismo della globalizzazione economica. Una contraddizione fondamentale fra ruoli attuali e ruoli potenziali degli enti locali è sotto gli occhi di tutti: assistiamo infatti ad una perdita progressiva di ruoli, crescente subalternità e marginalizzazione. Concorrono a questa tendenza: i tagli crescenti alla finanza locale che costringono gli enti locali a rincorrere oneri di urbanizzazione e ICI per far cassa, alleandosi oggettivamente con il blocco immobiliarista per ulteriore consumo di suolo; la privatizzazione e l'aziendalizzazione della produzione e gestione dei servizi pubblici (acqua, trasporti, energia, rifiuti, ecc) che riducono sempre più le funzioni degli enti locali in materia di salvaguardia dei beni comuni divenuti merce sul mercato e allontanano sempre più le decisioni dal livello locale; leggi di governo del territorio1 (nazionale e alcune regionali) che affidano all'iniziativa negoziale del capitale immobiliare e finanziario le decisioni urbanistiche da ratificare nei piani comunali e provinciali. In sintesi Enti locali sempre più ostaggio dei poteri forti a-democratici con progressivo svuotamento di ruolo delle assemblee elettive e, più in generale delle autonomie. In queste condizioni del governo locale la “partecipazione” rischia di diventare una farsa. Ma i ruoli potenziali, che dovrebbero essere perseguiti nel programma della sinistra sono ben altri e sono fondamentali per la rivitalizzazione della democrazia e del modello di sviluppo. Occorre rovesciare radicalmente questa tendenza. Come? Con quali obiettivi?
1.1 Dichiarare il territorio bene comune
E' necessario affermare con forza la centralità del territorio come “bene comune” essenziale al benessere delle comunità su di esso insediate. Questo principio si fonda sul presupposto che il territorio costituisca l'ambiente essenziale alla riproduzione materiale della vita umana, e al realizzarsi delle relazioni sociali e della vita pubblica. Territorio non è quindi soltanto il suolo o la società ivi insediata, ma il patrimonio (fisico, sociale e culturale) costruito nel lungo periodo, valore aggiunto collettivo che troppo spesso viene distrutto, anche da amministrazioni di centro-sinistra, in nome di un astratto e troppo spesso illusorio sviluppo economico di breve periodo.
Mettere al centro il bene comune “territorio” consente di perseguire la dimensione qualitativa, non soltanto quantitativa, dei singoli beni che lo sostanziano: acqua, suolo, città, infrastrutture, paesaggi, campagna, foreste, spazi pubblici e così via. L'insieme di questi beni comuni, con la loro specifica identità, dovrebbe costituire il nucleo fondativo, collettivamente riconosciuto, dello “statuto” di ciascun luogo e dei diritti dei cittadini rispetto ai beni che lo costituiscono2.
I piani che regolano le trasformazioni del territorio, a tutte le scale, dovrebbero pertanto essere preceduti e coerenti con un corpus statutario socialmente condiviso che definisce, con riferimento a un orizzonte temporale di medio-lungo termine, i caratteri identitari dei luoghi, i loro valori patrimoniali, i beni comuni non negoziabili, le regole di trasformazione che consentano la riproduzione e la valorizzazione durevole dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici.
1.2 Valorizzare il territorio come potenziale produttore di ricchezza durevole
E' già operante una profonda e crescente riconsiderazione da parte di molte regioni, municipi e, in parte dell'Unione Europea, del “territorio” (inteso come insieme di fattori ambientali, sociali, culturali locali, di pratiche, saperi, economie ecc. che definiscono l'identità di un luogo) e dei suoi giacimenti patrimoniali quale potenziale fattore di sviluppo sostenibile, di coesione economica e sociale, e di produzione di relazioni globali solidali e non gerarchiche. Il territorio non viene più considerato come oggetto di consumo e come mero supporto delle attività economiche, bensì come soggetto complesso che costituisce la base primaria della produzione di ricchezza durevole, grazie alla messa in valore delle peculiarità identitarie e delle risorse patrimoniali che caratterizzano ogni luogo.
In sostanza, in questa linea interpretativa, il territorio assurge a fattore primario di resistenza agli effetti distruttivi e omologanti della competizione globale e di innovazione dei modelli di sviluppo locale, di fronte alla crisi strategica del modello precedente.
1.3 Restituire centralità al municipio nel governo dell'economia
Se la valorizzazione del territorio diviene la base della produzione di ricchezza durevole, il suo governo assume un ruolo centrale nel definire politiche economiche alternative. Occorre superare una visione dei livelli locali di governo come amministrazione degli effetti locali di scelte esogene e gerarchicamente fondate (dallo stato, dai poteri economici agli enti locali): valorizzare il municipio, le unioni di municipi, i circondari, le province come veri e propri laboratori di forme di sviluppo locale autosostenibile3. I municipi possono diventare luoghi rifondativi delle politiche pubbliche di governo del territorio in questa direzione: per la ricomposizione sociale dell'economia su base locale nell'epoca del postfordismo; per la messa in valore dei giacimenti ambientali, territoriali, socioculturali locali; per l'autosostenibilità dello sviluppo, la chiusura locale dei cicli ambientali, dell'alimentazione, dei rifiuti, la riduzione dell'impronta ecologica, la produzione locale di energia; l'attivazione di politiche inclusive per diritti di cittadinanza, la costruzione di una nuova alleanza fra città e mondo rurale per la produzione di beni e servizi comuni. Nella fase storica della crisi dei sistemi economici europei di fronte alla globalizzazione selvaggia (dumping salariale, ambientale e sociale) la via strategica sta nell'innovazione che si alimenta delle peculiarità, unicità, tipicità di ogni luogo e paesaggio. Il governo del territorio assume dunque funzioni centrali nel governo dell'economia (cosa, come, quanto, produrre per perseguire modelli di sviluppo autosostenibile, fondati sulla messa in valore dei giacimenti patrimoniali locali).
1.4 Restituire autonomia alla finanza locale
E' vitale, per perseguire questi obiettivi di autogoverno, che l'amministrazione locale abbia gli strumenti istituzionali, pianificatori, ma anche finanziari per governare la complessità dei processi socioeconomici. L'autonomia della finanza locale (da perseguire con criteri redistributivi e non incrementali fra stato e enti locali e con la mobilitazione responsabile delle energie socioeconomiche locali) deve riguardare i vari livelli di governo in proporzione all'accrescimento delle deleghe nei diversi settori secondo il principio di sussidiarietà; i livelli di autonomia devono essere sufficienti a garantire la produzione e la gestione dei servizi pubblici nella forma di beni non mercificabili, ad attivare politiche di welfare municipale, a esercitare funzioni di governo del territorio guidando le scelte economiche nell'interesse del benessere dei cittadini.
2. Promuovere la democrazia partecipativa come forma ordinaria del governo locale
2.1 Valorizzare la società locale
Per far evolvere gli enti locali da mera amministrazione subalterna a poteri esogeni a enti di autogoverno del territorio e dei sistemi economici a base locale è necessaria una forte mobilitazione delle energie (culturali, sociali, produttive, cognitive) delle società locali per realizzare modelli di sviluppo locale autosostenibile. La cessione di potere alla società locale nelle sue molteplici forme di aggregazione e responsabilizzazione è la condizione essenziale per questa realizzazione e la garanzia di un ritorno di potere in termini di capacità di autogoverno del municipio. In altri termini è necessario che le molteplici e frammentate esperienze di partecipazione in atto (bilanci participativi, Agende 21 locali, contratti di quartiere, forum, piani urbanistici e ambientali partecipati, ecc) evolvano da consultazioni su singoli problemi a pratica ordinaria di governo del territorio, riguardante non solo uno specifico settore (l'assessorato alla partecipazione) ma l'insieme delle attività di governo in forme intersettoriali e integrate.
A tal fine è necessario che il municipio istituisca:
a) tavoli di programmazione negoziale estesi alla complessità di rappresentanze della società contemporanea e inclusive degli attori deboli non rappresentati, superando le attuali forme prevalenti di consociativismo fra enti locali e poche rappresentanze di poteri forti;
b) strumenti di democrazia deliberativa per la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali e alla loro gestione.
Anziché, come sovente avviene, confondere questi due aspetti del processo decisionale (programmazione negoziata inclusiva che riguarda le rappresentanze di interessi e democrazia deliberativa che riguarda i singoli cittadini), occorre renderli complementari e sinergici; in questo modo il processo partecipativo diviene costruzione progressiva di cittadinanza attiva dando voce, a entrambi i livelli, alle diffuse pratiche sociali in atto che già fanno vivere molecolarmente nel territorio stili di vita e di produzione che alludono ad una trasformazione verso la sobrietà, la responsabilità sociale nei confronti dei beni comuni; verso la produzione, lo scambio e il consumo a valenza etica (sociale e ambientale), verso la cura dell'ambiente e del paesaggio, la sovranità e la qualità alimentare, la produzione locale di energia, la produzione di qualità e di unicità.
2.2 Il programma di governo, nel territorio, esiste già.
Si tratta dunque di dotarsi di strumenti di ascolto e valorizzazione delle energie virtuose operanti sul territorio, modificando il modo quotidiano di governare: questo è già un passo avanti nella realizzazione del programma, dal momento che esso vive già in un multiverso di attori composto da: agricoltori che ricostruiscono un rapporto di cura con la terra, la qualità alimentare, l'ambiente, il paesaggio e attivano relazioni di scambio conviviale con la città; associazioni femminili che sperimentano simbolici e luoghi comunitari fondati sulla relazione di genere; sindacati che affrontano la ricerca di qualità dei processi produttivi e dei prodotti, dei fini sociali e etici della produzione e si pongono problemi di allargamento della rappresentanza alla composizione socioproduttiva del postfordismo e alla sua ricomposizione nel territorio; associazioni ambientaliste e culturali che praticano forme capillari di difesa e cura dell'ambiente; aggregazioni giovanili che realizzano spazi pubblici e sociali autonomi; movimenti etnici che perseguono il riconoscimento delle identità linguistiche, culturali e territoriali, migranti che costruiscono nuovi spazi di cittadinanza e di scambio multiculturali; imprese produttive e finanziarie a finalità etica, ambientale e sociale; associazioni per l'autoconsumo, il consumo critico e l'acquisto solidale; reti del commercio equo e solidale; ampi settori del volontariato, del lavoro sociale, dei servizi e del lavoro autonomo, che creano reti di scambio non monetario e non mercantile, e cosi via4.
Questi attori producono, ognuno nel proprio ambito di interesse e di azione, critica, rifiuto, conflitto, ma anche contemporaneamente riappropriazione diretta di saperi produttivi, costruzione di nuovi simbolici e immaginari; pratiche di vita e di consumo alternative a livello locale e reti solidali a livello globale; inducono di conseguenza crescita di società, identità locale e coscienza di luogo attraverso l'autoriconoscimento solidale, e sedimentano sul territorio frammenti di progettualità che possono esser integrati in modelli socioeconomici alternativi.
E' attraverso il riconoscimento e la valorizzazione da parte dei governi locali di queste insorgenze societarie che il discorso sulla partecipazione e sulla “cittadinanza attiva” si riposiziona, nell'agevolare la promozione locale di questo processo aggregativo che non riguarda più soltanto l'unione dei simili (classe, genere, etnia) o l'unione locale su un disagio specifico indotto da scelte di sviluppo esogene, ma la promozione di statuti e patti di unione dei diversi per la autoprogettazione di società locali complesse attraverso forme di autogoverno delle relazioni fra differenze e il loro reciproco riconoscimento.
L'ascolto del sociale, di questo sociale che già produce innovazione nelle periferie urbane e nel mondo rurale, consente di fondare il programma di governo su un orizzonte concreto di obiettivi di trasformazione che non ripercorra in tono minore gli steccati del neoliberismo. Nelle mobilitazioni sociali di questi anni sono già delineati i contenuti del programma di governo. Dalla mobilitazione della società locale nelle sue componenti sociali, culturali, associative, imprenditoriali a valenza etica può venire la forza per realizzare l'autogoverno municipale.
2.3 Qualificare gli strumenti di democrazia partecipativa per l'ascolto e la realizzazione sociale del programma di governo.
E' necessario esplicitare nei programmi di governo le molte condizioni perché il processo partecipativo evolva verso questo modello, che realizza il passaggio dall'empowerment all'autogoverno5:
• che l'amministrazione locale istituisca una sede unica di partecipazione strutturata, con fasi e tempi certi di decisione, e che abbia carattere continuativo per tutte la fasi del processo di governo Che sia conseguentemente offerta ai partecipanti l'occasione di intervenire su una politica ancora da definirsi (non chiamandoli a risolvere i conflitti nell'applicare una politica già pre-definita, e non si collochi ex post, come avviene ad esempio per le tardive discussioni sulle localizzazioni degli inceneritori);
• che sia inclusa negli statuti comunali la scelta di attivare nuovi tavoli allargati e inclusivi per le politiche negoziali e istituiti di partecipazione strutturata e deliberativa come regola permanente di governo;
• che la partecipazione non sia una pratica defatigante che riguarda questioni marginali (anche il bilancio partecipativo sulle spese di investimento dei comuni corre questo rischio, in una fase di forte taglio alle disponibilità di bilancio), ma che affronti a tutto campo le trasformazioni del modello locale di sviluppo verso scenari di futuro socialmente condivisi;
• che l'istituto partecipativo sia articolabile, anche variando la composizione degli attori per i singoli progetti integrati, ma senza perdere l'unitarietà complessiva del processo;
• che sia data ai cittadini la possibilità di essere protagonisti. Pur essendovi la necessità di strutturare i processi di partecipazione, dando ad essi regole di funzionamento e tempi certi di lavoro, è opportuno che gli attori “iniziatori del processo” si assumano soltanto il compito di garanti delle forme di partecipazione e del loro svolgimento. I diretti promotori o responsabili della politica in discussione (assessori, dirigenti e funzionari dell'ente competente) possono intervenire ma non monopolizzare la discussione; non devono in ogni caso condurre le riunioni;
• che siano assegnate risorse specifiche ai processi partecipativi. Per quale ragione i progetti che possono generare conflitti costano generalmente cifre rilevanti, mentre coloro che partecipano e fanno partecipare sono retribuiti nulla (i primi) e molto poco (i secondi)? Non si tratta d'un fatto casuale, ma di un elemento che svela un costrutto culturale che richiede di essere superato;
• che sia riconosciuta piena dignità alle diverse forme di conoscenza. L'approccio tecnocratico è sorretto da una sopravalutazione della conoscenza cosiddetta “esperta”, meglio ancora se codificata in senso quantitativo, rispetto alla conoscenza esperienziale e situata. La strada alternativa è quella di costruire attraverso la partecipazione, delle narrazioni collettive nelle quali siano ricondotte a senso comune, rese comprensibili e capaci di interloquire fra loro, conoscenze esperte e conoscenze di contesto;
• che l'istituto negoziale e quello partecipativo privilegino gli attori sociali deboli, o comunque sottorappresentati nei processi di concertazione ufficiali, in quanto potenziali portatori di energie virtuose per la produzione della trasformazione verso l'autosostenibilità. Nell'istituto negoziale è fondamentale che il municipio privilegi gli attori della produzione del commercio, del consumo portatori di valenze etiche rispetto agli attori economici unicamente finalizzati al profitto, ormai portatori di valenze criminali.
3. Promuovere il federalismo municipale e solidale
3.1 Dalla devolution di stato al federalismo dal basso
Alla devolution ovvero a un federalismo di stato inteso come decentramento di funzioni dello stato centrale alle regioni (nuovo centralismo dei governatori dei piccoli stati) e un concentramento di poteri nell'esecutivo non si può rispondere (come in gran parte sta avvenendo) con atteggiamenti difensivi di stampo statalista. E' tempo che, se pur con grave ritardo la sinistra si riappropri culturalmente e politicamente del federalismo come “struttura per partecipare”, della cultura municipale6 che è alla base delle civilizzazioni europee e mediterranee dalle polis greche alle lucumonie etrusche, ai municipi romani, ai liberi comuni medievali e alle loro leghe. Occorre riaprire il dialogo con Carlo Cattaneo, Emilio Lussu, Silvio Trentin, con le spinte federaliste sconfitte con l'unità d'Italia dal modello centralistico sabaudo7.
Nuove funzioni di autogoverno del municipio e attivazione di nuove forme di democrazia partecipativa sono alla base della costruzione del federalismo municipale solidale in un percorso progressivo di costruzione dal basso: dalla frammentazione degli istituti di partecipazione alla strutturazione unitaria dei processi; dalla partecipazione per la redistribuzione delle spese di investimento dei comuni, alla partecipazione alle scelte complessive di governo del territorio; alla ridefinizione del ruolo delle province, come enti di co-pianificazione e sussidiarietà, espressione della federazione di comuni, promotori di sperimentazione locale di processi partecipativi; alla attivazione di processi partecipativi istituzionali (Consiglio delle autonomie) e sociali per l' attività legislativa e di governo delle regioni.
3.2 Dall'Europa degli stati all'Europa delle città e delle regioni
La valorizzazione delle identità locali, la costruzione di un federalismo municipale solidale attraverso un processo aggregativo dal basso consente di sconfiggere una concezione dell'Europa fatta di processi di omologazione delle differenze. Consente di superare una visione consolidata, statuale della centralità dello spazio europeo continentale contrapponendovi la centralità dello spazio europeo mediterraneo: dal modello unico di sviluppo al “pensiero meridiano”, come apertura di una cultura della valorizzazione delle differenze e di relazioni non gerarchiche e solidali valido per tutta Europa: l'Europa delle culture, delle città. delle reti di città solidali, delle peculiarità delle stili di sviluppo nel quadro della sovranità municipale e territoriale; contro i processi di omologazione, di standardizzazione in atto.
3.3 Valorizzare le reti solidali
Fare del municipio il nucleo fondativo della nuova democrazia significa attribuirgli la sovranità economica, politica, culturale per creare reti, alleanze, scambi, cooperazioni, per una globalizzazione dal basso rovesciando il processo di determinazione delle scelte e produzioni strategiche nell'ambito della globalizzazione.
In questa direzione il concetto di relazioni solidali si declina a vari livelli:
- fra municipi e varie reti civiche che sviluppano in una nuova alleanza le società locali e le loro forme di autogoverno; il municipio come espressione della società locale (realizzabile attuando i due livelli partecipativi enunciati) è la condizione di relazioni solidali e non gerarchiche che definiscono i rapporti con gli enti sovralocali;
- fra città e mondo rurale in una nuova alleanza per la produzione di beni e servizi pubblici, di qualità ambientale, alimentare, paesistica;
- fra città della regione, attraverso la diffusione dei servizi rari nei nodi regionali periferici e marginali connessi a rete per superare modelli regionali centroperiferici e realizzare modelli policentrici, multipolari e non gerarchici;
- fra comuni e istituzioni intercomunali per ridefinire in forma di codecisione e copianificazione i ruoli delle provincie, dei circondari, delle comunità montane e i ruoli legislativi delle regioni; sono in questo caso le reti sovralocali a definire il diritto regionale, che non può essere calato dall'alto pena il riprodurre in piccolo lo stato senza società civile;
- fra città europee e del mondo per costruire reti di cooperazione dal basso, diplomazia di pace e reti solidali in campo ambientale, climatico, culturale;
- e cosi via.
In questo percorso di costruzione di reti solidali, i modelli di reti di città che si inseriscono nelle politiche europee e sovente si sovrappongono agli stati nazionali, sono molteplici: dalle reti funzionali per i piani strategici, alle più di cinquanta reti europee, sovente monotematiche, sui temi della cultura, delle grandi infrastrutture, dell' ambiente, del turismo, dello sviluppo locale, ecc; fra queste assumono un ruolo strategicamente rilevante le reti municipali finalizzate ad elevare il rango di città piccole e medie e creare nuovo protagonismo municipale nel contesto decisionale europeo. Alle reti che hanno funzioni prevalentemente legate al rafforzamento di ruoli competitivi e di elevamento del rango urbano, si affianca e cresce una molteplicità di reti che promuovono politiche solidali coordinando azioni locali in campo sociale, culturale, ambientale, della partecipazione, della cooperazione decentrata, della pace8.
Con questo insieme di reti si intersecano:
- relazioni commerciali e finanziarie ecosolidali che sviluppano reti locali nel mercato mondiale;
- reti di agenzie di sviluppo locale che interfacciano progetti top down con progetti bottom-up;
- relazioni culturali, di scambio solidale e di cooperazione decentrata sud-sud, sud-nord che densificano trame sovrapposte alle reti nord-sud e producono autorappresentazioni sociali contrapposte alle rappresentazioni imposte dal centro.
Una forte valorizzazione del ruolo di queste reti di tipo solidale nella Costituzione europea può fortemente contribuire a rafforzare l'autonomia dell'Europa sia dalla rincorsa alle alleanze neoliberiste e di guerra sia alla competizione selvaggia indotta da fobie asiatiche.
A questo fine il programma di governo della sinistra dovrebbe promuovere e rafforzare una idea di globalizzazione dal basso che valorizzi le differenze e le peculiarità identitarie attraverso la costruzione di reti fra locale e locale (corte, medie e lunghe) che modifichino il sistema fortemente gerarchico delle città globali nel sistema mondiale verso una complessificazione e moltiplicazione dei subsistemi regionali. Dovrebbe in altri termini favorire tutti i sistemi di relazioni (fra città, fra regioni, fra sistemi economici locali) che infittiscano i reticoli non gerarchici di scambio solidale, di sussidiarietà, di complementarità e di rafforzamento reciproco all'interno di macroregioni (regione alpina, regione mediterranea, Unione europea, ecc.), rispetto alle reti economiche globali. Un' Europa dei municipi e delle loro reti può superare i processi di omologazione messi in atto dall'Europa degli stati, acquisendo potenza e autogoverno rispetto alle politiche imperiali attraverso la valorizzazione della complessità dei propri sistemi locali, delle loro diversità culturali e patrimoniali.
Note
1 Una critica a più voci sulla Legge Lupi sul Governo del territorio approvata dalla Camera dei Deputati si trova in M.C. Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica, Alinea, Firenze 2005; ipotesi alternative sulla stesse legge si trovano in A. Magnaghi, A. Marson, "Un territorio da lupi. Un commento alla nuova legge urbanistica nazionale e alcune proposte alternative", nello stesso volume cit. (torna su).
2 Il corpus statutario dovrebbe fondare la parte strutturale e identitaria dei piani urbanistici e territoriali cui î progetti di trasformazione dovrebbero attenersi; linea anticipata dalla LR 1/2005 della Regione Toscana sul governo del territorio (torna su).
3 Per quanto riguarda un approfondimento sul concetto di autosostenibilità rimando al mio: Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000 (torna su).
4 Per una descrizione delle esperienze italiane in questi campi vedasi: A. Magnaghi, “Dai comuni polvere alle reti di municipi”, Communitas 3/4, Milano 2005 (torna su).
5 I punti di questo paragrafo sono rielaborati da: A. Magnaghi, A. Marson, “Democrazia locale e politiche ambientali”, in F. Giovanelli, I. Di Bella, R. Coizet (a cura di), Ambiente condiviso: Politiche territoriali e bilanci ambientali, Edizioni Ambiente, 2005 (torna su).
6 Il modello della comunità municipale che si costruisce nel progetto pattizio, costituente, dello statuto che definisce le regole identitarie per governare il futuro dei luoghi, che organizza città medie, piccole e grandi in reti non gerarchiche, che ristabilisce rapporti di scambio attivo con il proprio territorio rurale, trova le sue radici di lunga durata non solo nelle relazioni sociali e nei saperi storici che hanno consentito “l'atmosfera” dei distretti, ma ben più lontano: in quella “terra di città”, di città federate che dalle lucumonie etrusche, attraversando i municipi romani, vanno a costituire nel basso medioevo le reti di città che permangono fino ad oggi come l'armatura urbana rilevante che ordina il territorio regionale nelle sue qualità di lunga durata (torna su).
7 Il tema è stato sviluppato nel convegno organizzato dalla Rete del Nuovo Municipio, Regione Puglia, Comune di Bari su Federalismo municipale solidale: la democrazia partecipata e il progetto locale, Bari 5 novembre 2005; vedasi in particolare le relazioni di Giuseppe Gangemi e Giorgio Ferraresi (www.todoestosepuede.org) (torna su).
8 Qualche esempio: le reti di comuni dell'Alleanza per il clima; la Rete delle città educative (1990); i Forum delle Autorità locali per l'inclusione locale di Porto Alegre (2001-2004); il new locall Government Network(NLGN,1996);la rete dei comuni dell'Agenda 21 della cultura (Barcellona 2004); la FEDENATUR; l'organizzazzione delle città patrimonio dell'Umanità(OVPM);la rete europea per lo sviluppo rurale (ELARD); le reti enti locali per la pace(mayors for peace) e per il disarmo nucleare ( campagna vision 2020); la rete mondiale di città e governi locali uniti (CGLU, Barcellona 2004); la rete di città aderenti alla Carta di Aalborg, di Aarhus, reti europee dei progetti Urban, Urbact e cosi via (torna su).
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