Il cuore di un programma per l'Italia: una rifondazione partecipativa della democrazia per un federalismo municipale solidale
Giorgio Ferraresi (Direttivo Associazione "Rete del Nuovo Municipio"), Ottobre 2005
1. Perché?
Perché esplode una nuova questione democratica.
Perché si pone, ora, il tema delle autonomie fondate sulla democrazia partecipativa.
La Rete del Nuovo Municipio discute il “federalismo municipale solidale” nella sua terza Assemblea nazionale degli Enti Locali che “fanno partecipazione” (ad inizio novembre, a Bari e con la Regione Puglia e Lazio). Indirizza quindi i propri lavori sul tema della democrazia sostanziale e del progetto locale come fondazione delle autonomie, dell’autogoverno e del federalismo; lo discute nella Rete (con i Comuni, ma anche con le Province ed ora le Regioni, le Associazioni e i Laboratori universitari e territoriali ) ma si assume anche la responsabilità di proporlo con voce alta alla “Politica” come questione discriminante.
E questa iniziativa si connette con il Cantiere (e con i “cantieri locali”, con le molte iniziative di interferenza del società civile nel contesto politico, nelle “fabbriche” dei partiti per il programma) che pone anch’esso il tema della democrazia come passaggio fondamentale.
Perché questa priorità, questo “fuoco”?
Perché occuparsi ora (invece che delle importanti scelte di un programma di governo sulle politiche economiche, del lavoro, internazionali, ecc.) di queste modalità e forme della democrazia e dell’autonomia nello (dallo) Stato che appaiono , a prima vista, solo pre-questioni di regole e di processo, di metodo (ma che vedremo ben presto essere anche fondamentali questioni di progetto).
Il perché, prima ancora che essere reso esplicito in termini strutturali e anche teorici si manifesta con tutta evidenza immediata nella osservazione di ciò che ora sta avvenendo.
Più clamorosamente, nell’attualità, pone sul proscenio la questione democrazia un tentativo di “golpe” delle regole elettorali a campagna in corso da parte della maggioranza per evitare la propria prossima assai probabile sconfitta, una truffa tutta interna al gioco della rappresentanza.
Questo però non è che l’ultimo atto (anche se disperato e si spera inane) di un radicale sistematico degrado della democrazia formale, ben espresso nella sua interpretazione peggiore, esemplare a suo modo, dal berlusconismo: la intangibilità, ingiudicabilità, indiscutibilità sociale dell’eletto, dell’unto dal Signore, la forma autoritaria del governo, la dittatura senza regole della maggioranza degli eletti, il presidenzialismo di fatto (di cui si è molto già detto e su cui non si ritorna). E ciò corrisponde, come una altra coerente faccia della stessa medaglia, ad un federalismo dei “governatori” che è una riproduzione decentrata nelle regioni del centralismo autoritario di Stato.
Questo attacco e questo degrado diffuso richiede una riposta frontale e di alternativa radicale che coinvolga, oltre la politica, la società civile che è già in campo e che propone e pratica una alternativa al federalismo di stato, fondata sulla partecipazione. E su questo si esprimono qui interpretazioni dello stato delle cose e proposte attive.
La grave degenerazione democratica della destra (di cui cominciamo a sperare di disfarci) si accompagna ad una più generale malattia delle democrazia anche su gli altri fronti politici, che rende difficile lo stesso passaggio oltre questa degenerazione, sulla base di un mutamento di metodi e di merito dell’agire politico.
Un programma di svolta politica, per riferirsi particolarmente al centro sinistra, appare ben lungi dal potere essere afferrato o anche soltanto concepito (proprio nei suoi elementi “sostantivi”, proprio come progetto) in assenza di una interazione tra apparati politici e società civile (associazioni, reti cooperative e solidali, movimenti, istituzioni di base, progetti locali); con il mondo cioè dei protagonisti del mutamento in atto in termini di politiche pubbliche di matrice sociale e municipale, locale, politiche pubbliche anche non istituzionali, politiche e pratiche di altro sviluppo e altre modalità di relazioni umane, di valorizzazione dei beni pubblici, di espressione dei diritti e delle volizioni sociali. Si manifesta invece una resistenza sorda, cieca, pervasiva, nei confronti di questa relazione da parte degli apparti politici dominanti.
In termini strutturali ciò può appunto essere definito come “autoreferenza del Politico”, una permanenza patologica di questo fenomeno, segnato dalla debolezza della “forma partito”, privo di senso in prospettiva, in difesa, teso alla semplice sopravvivenza di sé, ma persistente, “gommoso”, respingente.
Si riproduce cioè ancora, in questa forma “tardiva”, la “crisi di transazione” tra stato (e mercato) e “terzo attore”, cioè la mancanza di comunicazione e interazione tra i due attori dominanti delle politiche e delle economie (“il sistema”) e il soggetto dell’azione civica e del progetto locale (l’“homo civicus” direbbe Cassano).
E' proprio la necessità di superare questa crisi che pone appunto l’esigenza della partecipazione: il dispiegamento e la valorizzazione della autonomia dei soggetti sociali e della loro interferenza nella costruzione delle scelte di politica ed economia; a partire dalla partecipazione “municipale” nei comuni, nella istituzione di base più prossima alla società civile. Sino ai “luoghi alti”, attraverso reti più ampie.
Questo sembra un percorso necessario che non vede scorciatoie o palingenesi, faticoso ma costruente. Una prospettiva credibile che muove già da un processo reale.
2. Un processo esistente e vivente; l’occasione storica di un “governo dal basso”, un federalismo reale gia in atto
E’ indiscutibile che questo processo sia in atto; tracciati importanti di autonomia progettante e sperimentante, di attivazione civile, di partecipazione che vive un proprio percorso e, indirettamente, produce anche esiti istituzionali ed elettorali e sta cambiando forme e schieramenti del governo reale del paese, locale e diffuso.
Prima le amministrative comunali e provinciali poi le regionali (gran parte dei comuni e delle province e quasi tutte le regioni al centrosinistra) hanno riconfigurato la geografia politica degli enti locali; offrono, in questi termini, una occasione storica di governo del paese.
Ed è così non per una affermazione dei partiti della sinistra radicale (che se c’è stata è comunque minima e poco influente negli spostamenti di schieramento) ma piuttosto per la presenza diffusa della “sinistra sociale e civile”, della pratica di progetto e di rifondazione partecipata della democrazia espressa dai movimenti e dalle reti e dalla loro volontà di relazione , più o meno conflittuale ma comunque interattiva, con le istituzioni locali. Una speranza di mutamento che già è perseguita dalla propria sperimentazione, dalla pratica dell’obbiettivo.
Ma questi processi che sono alla base della grande occasione di un governo dal basso, non vengono riconosciuti come punto di riferimento e come risorsa dalla miseria della Politica di Stato e di apparato (di cui sopra si è detto) perché sono di altra natura (autonoma, civile, istituzionale di base) rispetto a tali ceti e apparati; e provocano una reazione di rigetto immunitario.
&…Si tratta in realtà di espressioni sociali connesse con i temi fondamentali del municipalismo che emergono in evidenza, e incidono nella stessa questione del potere senza assumerla come obbiettivo diretto: un “nuovo paradigma della democrazia” ed una “neopolitica” oltre “il politico”: espressione di nuove forme “in corso” della democrazia a base locale, che hanno al centro la partecipazione e la formazione di un nuovo “spazio pubblico”; ma altrettanto modificazione “antropologica” di stili e finalità di vita, processi di solidarietà e di responsabilizzazione, di nuova interpretazione e trattamento in tal senso dei bisogni, dei servizi, dello stesso concetto di welfare e delle politiche dei beni pubblici; e forme di consumo e di processi di produzione, che cominciano a sperimentare percorsi di sviluppo locale e di alternative alla dominanza delle reti globali del mercato unico›› (Documento programmatico della seconda Assemblea dell’ARNM, Bologna 2004).
Nello stesso documento di Programma della Rete NM ora citato si analizzava la natura e la fertilità del processo attivo del municipalismo; un processo di governo reale, mentre il governo centrale “sgoverna” quel processo costruisce un campo di proposta vivente, di conflitto generativo di “un progetto possibile”, assai più fondato delle faticose ed “astratte”ricerche nelle politiche nazionali di formule di schieramento e di programma da costruire per una alternativa di governo al berlusconismo ed alla nuova destra.
L’alternativa programmatica e anche elementi di mutamento delle forme di governo e di rappresentanza (di cui tanto si discute) ci sono già, nel senso che sono in marcia nello spazio sociale e municipale, diffuso, molteplice (si tratta del territorio delle differenze). E’ un processo locale e di rete ma è in grado di agire strutturalmente su temi lo “strategico” e di proporre quindi elementi di indirizzo generale.
In questo spazio municipale che è attaccato in modo sempre più duro dal governo nazionale si forma uno spazio ove si affrontano nodi cruciali delle politiche pubbliche.
&… Di fatto e sempre più programmaticamente, di fronte alla crisi finanziaria ed al disperato furto nel bilancio nazionale delle risorse locali, il welfare municipale regge le politiche sociali contando sulle proprie forze (e contro le scelte nazionali e spesso regionali); e nelle azioni sociali nello spazio municipale si esprimono le controtendenze alla liquidazione della gestione pubblica dei servizi e per la valorizzazione e l’uso sociale di beni pubblici ad iniziare dall’acqua e dai rifiuti.
Di fronte alla crisi economica ed alla precarizzazione del lavoro si manifestano iniziative territoriali di altro sviluppo per la valorizziamone delle produzioni locali, per l’inclusione in nuovi processi produttivi, per una nuova agricoltura, per il trattamento autosostenibile dei cicli della stessa produzione industriale.
Di fronte all’imbarbarimento delle leggi sull’immigrazione ed alla timide controproposte dell’ opposizione, sono gli enti locali ed i movimenti sociali ad assumere il carico dell’accoglienza e dell’offerta di cittadinanza, in particolare nella espressione del diritto di voto sperimentato e statuito localmente e attaccato dalle politiche di governo; e nel tentativo, espresso anche in una rete di regioni “democratiche” di mettere in discussione i Lager dei Centri di Permanenza Temporanea.
Di fronte alla politica di guerra del governo ed alle mediazioni riformiste nazionali, nello spazio tra movimento e municipalità si praticano le iniziative per la pace e la cooperazione internazionale, i mille incroci intermunicipali con i paesi del “terzo mondo”. E per una economia non bellica, cioè non fondata sulla espropriazione e lo sfruttamento delle risorse mondiali ma sullo scambio equo delle diverse risorse territoriali…››.
E così su altre politiche di analoga rilevanza.
Si riprendono e si sviluppano più avanti in queste note alcuni di questi temi a proposito a proposito della natura del federalismo municipale o della sua dimensione “progettuale”.
3. La pratica della responsabilità sociale e l’autogoverno locale come fondamento del federalismo della partecipazione, municipale, solidale; l’autonomia come principio e lo spazio pubblico come luogo
Ciò che si intende qui sostenere (e tradurre poi in indirizzi) è che questi processi di partecipazione e di governo locale “sono” il federalismo reale ed auspicabile: il federalismo della partecipazione, municipale, solidale.
E’ quello che alcuni studiosi (S. Trentin citato nei lavori di P. Gangemi che interverrà a Bari) definiscono il “federalismo antropologico”: cioè fondato prima di tutto, essenzialmente, originalmente, sulle azioni e sui comportamenti sociali prima che sulle forme di legge (che anzi essi sono chiamati a conformare, ridefinire). Sulla capacità quindi di iniziativa autonoma, di progetto dei cittadini in uno spazio pubblico; una autonomia che si rapporta,attraverso la partecipazione, alle istituzioni, le più prossime innanzitutto (per la natura locale di questi processi, da cui il ruolo essenziale quindi dei Municipi), ma che può anche produrre politiche pubbliche non istituzionali o preistituzionali (si richiama ciò che la Rete del NM ha definito “contromunicipio”).
Il ruolo dell’istituzione di base, quando si apre alla partecipazione, diventa quello dell’autogoverno locale dentro questa interazione, e comprende processi di potenziamento, normazione, statuizione di politiche socialmente condivise.
Queste concezioni di autonomia /autogoverno sono quindi i principi del federalismo che non si impone per legge, autogenerato “dal basso”.
In particolare si sottolinea che questa concezione dell’autonomia della soggettività sociale non può essere confusa con (o ridotta a) il liberismo individualista, e comunque non è un semplice “non dominio” sui soggetti (che può introdurre al “lasciar fare”); è piuttosto “responsabilità”, capacita di progetto e sperimentazione, e ha natura essenzialmente relazionale, è propria dei soggetti collettivi, è cooperativa, solidale.
Si tratta di quella autonomia che vediamo all’opera nei movimenti in generale (anche a scala mondiale, ”altermondialisti”, quando si esprime e sperimenta socialmente una propria cultura ed autonoma via allo sviluppo, contro il mercato/pensiero unico); e nelle reti sociali della cittadinanza attiva, quando si elaborano e praticano direttamente progetti locali di altra economia, di cooperazione, di solidarietà.
Ed è un’autonomia che chiede di ridefinire politiche pubbliche istituzionali nello stesso senso. La fondazione di spazio civico, come detto, ne è un carattere distintivo ed una tendenza fondamentale.
4. Il paradosso del federalismo; i due federalismi in campo e l’alternativa municipale al neo centralismo della “devolution”
Questa condizione di possibile governo dal basso e questo percorso di federalismo a base municipale e partecipativa nei territori, si verifica nel modo più esteso proprio mentre viene statuito per legge il federalismo della “devolution”; nella possibile modifica imminente della costituzione si traduce in atto il disegno della destra, in realtà profondamente neocentralista, statalista e autoritario sia nel governo dello stato nazionale che nella norma dei nuovi piccoli stati regionali . E’ lo stato che “devolve” i “propri poteri” dall’alto, senza riconfigurarne la natura essenziale il processi di formazione e di gestione.
Si è gia sottolineato che questa struttura del federalismo corrisponde specularmente al degrado democratico che si esprime a livello parlamentare e di governo.
Qui in realtà si ripropone la ripropongono a confronto (che ora si contrappongono in termini estremi di scontro) due poli della concezioni del federalismo che stanno nella nostra storia e nel pensiero politico che la segna: dal ruolo rilevante dei comuni medievali, alle formazione delle signorie e degli stati minori nel rinascimento, sino al processo di formazione dello Stato nazionale nel risorgimento (ove il pensiero federalista variamente presente e vivo ha sostanzialmente ceduto alla concezione centralista dello stato unitario) e sino al riaccendersi fertile del confronto sul federalismo nella resistenza ed ai segni federali fondamentali lasciati nel patto costituente:
- un federalismo come processo che nasce dalla società civile, dalla pratica sociale e dell’autogoverno di istituzioni di base e che induce “dal basso” nelle Stato regole di relazione reciproca delle autonomie. Un principio del federalismo della stessa natura del processo in atto che sopra si è descritto;
- un federalismo che essenzialmente discende dalla autorità sovraordinata dello Stato, il quale per legge decentra, si articola nei territori i poteri “assegnando” aree di autonomia. Un principio che si potrebbe semplificare nella definizione “federalismo di Stato”.
Ora nella “devolution” si intende imporre in forma estrema (e per legge espressa solo dalla maggioranza parlamentare) la tesi del” federalismo di stato”; si ricorda infatti, per intenderci, che la posizione leghista che sta passando discende addirittura da ipotesi di secessione (il che è a dire formazione di più stati da uno).
Questa deformazione del patto costituzionale della nostra convivenza civile si pone cosi esattamente in contrapposizione frontale con le opzioni e la pratica in atto di un autogoverno locale in rete che è espressa in modo rigoroso nel federalismo a base municipale, che è nel “dna” latente delle nostra storia “poco nazionale” ed è il fulcro della proposta della Rete del NM.
La contrapposizione della “riforma” della destra alle potenzialità di governo dal basso nei territori è resa ancora più esplicita infatti dalla sistematica azione di demolizione delle autonomie comunali che il governo centrale mette in atto, sia per sottrazione di risorse che per erosione dello spazio di gestione del territorio e di servizi in relazione diretta con la società.
Ed i Comuni sono nel cuore dell’attacco.
La possibilità di autogoverno viene quindi duramente contrastata , assediata dalle condizioni indotte dalla “devolution” di destra.
Questo è il paradosso; e va rovesciato valorizzando il processo del municipalismo cooperativo e estendendolo ad altre dimensioni del governo locale.
5. Percorsi di autogoverno e di reti antigerarchiche
La prospettiva del municipalismo (federato in reti) prevede anche la elementare vertenza in corso per la difesa della risorse finanziarie degli spazi gestionali dei comuni, ma conduce anche a perseguire e porre politicamente, strategicamente alcuni nodi fondamentali che riguardano la natura stessa del federalismo municipale:
- la sovranità nell’autogoverno (dei diritti di cittadinanza, territorio);
- la costruzione di reti antigerarchiche e la ridefinizione di ruoli degli enti sovraordinati.
Sul primo nodo si rimanda ancora una volta al Documento programmatico della Rete NM di Bologna 2004, che rivendicava il diritto dei municipi a generare e proporre nuova norma in relazione alle pratiche sociali; anche anticipando o mutando la legge dello Stato. E individuava due ambiti di sperimentazione avanzata in tal senso, nelle estensione dei diritti di cittadinanza e nella responsabilità di territorio.
Sul secondo è utile ritornare qui perché tocca un rilevante processo in atto che riguarda l’estensione del municipalismo nelle reti e nel coinvolgimento degli enti provinciali e regionali nel discorso del municipalismo federato.
Il federalismo municipale si esprime in reti antigerarchiche, con ciò conducendo alla ridefinizione di ruoli degli enti locali maggiori, Province, Regioni; ma anche degli stessi apparati statali.
Questo approccio al federalismo, in quanto esce dalla dimensione del singolo comune, si fonda appunto su reti sociali e interistituzionali di base come soggetto primo dell'autogoverno. Lo si legge nella molteplice formazione in atto di reti intermunicipali diffuse: attive ed innovative, capaci di trattare questioni di area vasta e di carattere strategico (locale di ordine superiore).
La dimensione “verticale” della relazione istituzione locale / soggetti sociali che si esprime nella pratica partecipativa di ogni municipio, corrisponde quindi anche ad una dimensione “orizzontale” antigerarchica nel governo del territorio ampio ed al trattamento di politiche strategiche (il locale di ordine superiore).
Emerge cosi la potenzialità del municipalismo di assumere caratteri pluridimensionali, di essere principio e modo che si estende dal comune ad ampi sistemi territoriali del locale, a realizzare quindi alleanze municipali federate, ad interessare il territorio del federalismo in ambiti come quello provinciale e regionale.
Ciò conduce a ridefinire il ruolo degli “ enti “ sovraordinati, province, regioni (potenzialmente ne potrebbe ridefinire anche la struttura e la geografia); mettendone in discussione il modo di governo piramidale, dall'alto del vertice.
Si propone per questi enti un nuovo ruolo di “copianificazione” che si fondi su azioni di sostegno, generalizzazione, servizio, definizione di quadri e strumenti per le politiche nascenti dal municipalismo federato.
Questo processo è già iniziato nei confronti delle “nuove province”, con adesioni alla Rete del Nuovo Municipio (Milano, Ascoli le prime e molte altre coinvolte dalla relazione con la che si riproporrà forte anche a Bari in una specifica commissione) definendo il concetto di “province dei comuni”.
Ma il messaggio si estende ora, cambiando scala e modo, alle prospettive di ristrutturazione del ruolo delle regioni. La coorganizzazione dell’assemblea di Bari con la Regione Puglia (e Lazio, e con il comune di Bari) indica che questo processo è in atto: e dà anche nuovo significato allo spostamento dei modi e contenuti del governo eletto in Puglia (e in Lazio, ecc.) ed al modo di elezione del presidente (no lo si chiami “governatore”). Si veda su ciò il punto apposito.
Il municipalismo federato introduce allora anticorpi nella filiera autoritaria e centralista dello stato (più o meno decentrata,) e nei modelli di sviluppo “imposti” nei territori.
6. Il progetto
Pare ora evidente che il federalismo municipale” è progetto”; non riguarda quindi come si escludeva già all’inizio di queste note, solo buone regole di governo locale, forme dell’istituzione o modalità virtuose delle azioni sociali: è anche questo (ed in parte la rifondazione democratica anche in questo consiste): ma il federalismo è prima di tutto, come sinora si è detto, autonomia progettante e sperimentante, progetto in corso che antecede e fonda le regole.
Allora: così come la partecipazione non esiste (o è solo un gioco cortese) se non permette ai soggetti di incidere su scelte rilevanti, strutturali, cosi il federalismo municipale non è autonomia ed autogoverno reale se non opera su alternative ai modelli imposti, eterodiretti; in termini di economie, caratteri dello sviluppo/desviluppo, strutture e culture del territorio.
Almeno due temi di questo tipo, discriminanti in questa fase, sono al centro della pratica della cittadinanza attiva (più di altri già citati qui o nei documenti della Rete): il welfare municipale fondato sui servizi e beni pubblici; ed i percorsi di nuove economie.
Temi che vanno proposti in modo forte al contesto politico insieme a quelli delle autonomie, come base strutturale dell’autogoverno in rete.
Le politiche del “welfare municipale” e la difesa e valorizzazione dei beni pubblici
Vi è una profonda correlazione della prospettiva di un federalismo fondato sull’autogoverno con il tema del “welfare municipale” e della difesa e valorizzazione dei beni pubblici (che ne sono una delle espressioni fondamentali).
Come si è già richiamato, il federalismo centralista e l’autoritarismo neo-liberista del governo colgono esattamente (in negativo) questa correlazione: distruggere l’autonomia comunale è una loro opzione e reiterata azione di carattere strategico, proprio per costruire la base della privatizzazione dei beni pubblici e della aziendalizzazione e commercializzazione dei servizi.
La politica sanitaria del governatore Formigoni in Lombardia ne è un esempio chiarissimo tra gli altri, ideologicamente esplicito, tra neocentralismo e privatizzazione. Da un lato vi è una sottrazione di sovranità ai comuni mediante una gestione del sistema centralizzata a livello regionale, per cui i comuni sono espropriati sistematicamente di possibilità gestionali, decisionali, sono ridotti a "passacarte burocratici”. Dall’atra il servizio è affidato operativamente sempre più a soggetti “sociali/aziendali”al privato sociale nella su accezione mercantile.
Una misinterpretazone liberista ed affarista della sussidiarietà.
Al contrario appare sempre più chiaro che vi è una sola basilare garanzia della riaffermazione del carattere pubblico di beni e servizi e della loro effettiva fruizione sociale quale bene comune. Ed è la fondazione della disponibilità dei beni e dei servizi nello spazio pubblico della relazione tra istituzione di base e società insediata: ove la relazione non è mercantile ma fondata sulla cittadinanza e sulla collaborazione con l’autoorganizzazione sociale cooperativa nella gestione del servizio.
E si tratta di ben altra versione, virtuosa, della sussidiarietà.
Chi fruisce di un servizio e di un bene pubblico non è un cliente ma un cittadino ed un abitante, che assume corresponsabilità appunto nello spazio pubblico, civile.
Va quindi rifiutato proprio il passaggio alla aziendalizzazione della fornitura di servizi e la sottrazione alla gestione “civica/municipale” del ruolo di progettazione, definizione e gestione dl servizio e della valorizzazione dei beni comuni.
Intendendo con ciò necessario che sia proprio il municipio (come cellula elementare della fondazione civica) ad essere in campo; così come le reti di municipi, verso una incidenza nelle politiche strategiche di welfare di area vasta (supportate dal ruolo di provincia e regione): ma sempre a partire dalla relazione locale società / istituzione.
Si può inoltre sostenere che welfare municipale e produzione pubblica di servizi non possono non avere fondamento su un controllo, o meglio, una “sovranità” sui beni pubblici (aria, acqua, cicli delle materie prime e seconde e dell’energia), e sul bene pubblico primario che li comprende, il territorio. Queste sono le basi strutturali della autonomia del “pubblico/civico”, il dove e il cosa della sua consistenza.
Qui si pone una opzione nelle stesse pratiche municipali; nelle quali spesso si assiste da parte degli enti locali ad una perdurante svendita di territorio “per trenta monete” nei processi espansivi e nella attuale insensata infrastrutturazione; non riconoscendone con ciò il valore non negoziabile di bene pubblico di cui è titolare il territorio sociale stesso. A questo sono condotte le prassi comunali per rispondere al furto crescente governativo delle finanze locali.
Ma come anticorpo, altrettanto spesso, nel rapporto municipi/movimenti si manifesta l’unica resistenza oggi in campo, l’unico riconoscimento della posta in gioco, e l’unica denuncia della sottrazione mercantile di territorio.
Alienare aria, acqua, energia e territorio (soprattutto) rende impossibile la produzione pubblica e sociale di servizi.
Su questo si pone una fondamentale discriminante “nel discorso politico”.
Tracciati di nuove economie di sviluppo locale e di valorizzazione territoriale
La sovranità e la responsabilità di territorio sono anche il fondamento di possibilità di “altro sviluppo”: una riattivazione del “ciclo di riproduzione” del valore territoriale.
L’autogoverno in rete (il federalismo municipale) si esprime infatti, strutturalmente, nella valorizzazione del patrimonio locale, dei caratteri distintivi propri dei territori e delle società insediate. E induce la formazione di ricchezza durevole che esprime le “chance” dei territori, fondata sui capitali sociali, su risorse endogene e sulle differenziate qualità proprie dei luoghi.
Le diverse vie allo sviluppo (o meglio alla trasformazione qualitativa) sono la base dell’autogoverno e della sovranità; e le reti interlocali sono il terreno di “scambio non ineguale” tra diversità.
Nel presente contesto di crisi dello sviluppo industriale e della produzione quantitativa e omologata appare sempre più chiaro che, in generale, il futuro delle economie risiede nella produzione di qualità differenziata nei diversi territori e culture, caratterizzata localmente, distinta per luogo di origine. E questa opzione si pone come ”la” risposta ineludibile di fronte al nuovo mercato internazionale invasivo della produzione omologata a basso costo ed a bassa qualità; ed è un opzione che può riprodurre a scala mondiale una rete di scambio delle diversità e delle qualità differenziate per culture e caratteri locali.
La questione riguarda in particolar modo l’agricoltura e la campagna che su questo fondamento di valorizzazione delle differenze territoriali e di prodotto denominato possono riassumere un ruolo centrale “dopo l’industria” e per una ridefinizione della post-industria.
E riguarda specificamente il meridione e la cultura meridiana che sulle stesse basi può uscire con una propria via dalla ripetizione a perdere del modello di sviluppo ora in crisi.
Su quest’ultimo punto si propone al contesto della politica una ulteriore discriminante : una opzione strategica per il sud che inverta il processo di dipendenza e permetta una sperimentazioni di econome fondate sul riconoscimento della cultura del proprio territorio e contesto.
7. Perché la Puglia e il meridione
La scelta di incontrarsi al sud (ed in particolare in Puglia) per discutere di queste prospettive di federalismo municipale, assume nella direzione ora indicata un forte significato.
Si discute in un luogo dove questa alternativa di autonomia e di altro sviluppo si pone con più evidenza come il passaggio necessario per uscire da una condizione di dipendenza imposta; attraverso un percorso proprio, un ripensarsi (F. Cassano, del cui contributo l’assemblea di Bari si avvarrà).
Il meridione d’Italia ha infatti subito l’imposizione non solo della forma/Stato estranea alla sua storia ma anche l’importazione fallita del modello di sviluppo “industrialista” che lo stato nazionale ha rappresentato; determinando la questione meridionale come sottosviluppo (di quello sviluppo) e appunto creando dipendenza, assistenza, svalorizzazione delle proprie risorse interne, delle proprie culture.
Di qui (ancora Cassano) l’esigenza di pensarsi in autonomia, sviluppando un “pensiero meridiano”, e riprendendo in mano come unica chance possibile le proprie risorse culturali e territoriali, il proprio ruolo mediterraneo (di cui l’Europa e l’Italia ha bisogno); rifiutando di tentare di riproporre un percorso di sviluppo ormai in crisi anche nel resto del Paese e di accettare l’omologazione nel pensiero unico dominate, della velocità, della artificializzazione e competizione: con lentezza, e recuperando il rapporto con il mare ed i territori oltre il mare.
Da sud viene quindi una necessaria interpretazione esemplare del federalismo delle autonomie, antistatalista , che conta sulle forze endogene, ma cooperativo, relazionale con le altre terre, solidale: senza altre possibilità se non una nuova dipendenza. Quindi un percorso fertile per tutti per questi suoi connotati esemplari necessari e perché “costretto” ad una sperimentazione di nuovi altri modelli di sviluppo (pre e post-industriali) basati sulla riscoperta e la valorizzazione dei caratteri del proprio territorio e delle relazioni col proprio contesto.
Inoltre (in Puglia particolarmente) ci si confronta con un percorso interessante e straordinario di ridefinizione del natura delle rappresentanza e del ruolo delle regioni.
Il caso Vendola” ci ha consegnato un processo di formazione di designazione ed elezione rappresentanza basato poco sugli apparati e molto sulla relazione con i temi territoriali e con le "volizioni sociali”, sulla comunicazione di senso della trasformazione , sulla narrazione; e sul rapporto con le pratiche della cittadinanza attiva e sul “principio speranza” rimesso in campo nella società civile.
Ora questo si traduce in alcuni primi passi di governo della Regione, di valore strutturale o anche simbolico che riguardano le questioni di fondo di cui si detto: i beni pubblici (le acque in particolare), l’accoglienza, la salvaguardia e valorizzazione del territorio.
Quindi anche in questi termini si apre un confronto utile ma anche l’esempio di un inizio operante in una Regione su molte delle opzioni proposte di partecipazione e formazione di spazio civico, (oltre la dimensione comunale), di solidarietà: di federalismo municipale e solidale appunto.
8. Rete e cantieri
Questi percorsi civili e di partecipazione, di autonomia, vanno non solo praticati e sostenuti, resi efficaci ma anche riproposti e rivendicati. Mentre sono sperimentati devono diventare proposta politica dirimente: la pratica deve assumere voce, parlare a voce alta (si ribadisce).
Ed è quello che ci si propone di fare con l’assemblea di Bari che raduna gli enti locali ed i soggetti che “fanno partecipazione” e producono progetto.
Si riafferma qui il doppio ruolo che la Rete del Nuovo Municipio assume (si rimanda al più volte citato Documento programmatico di Bologna 2004): riprodurre, strutturare e statuire questi percorsi partecipativi e di progetto locale ed assumere voce nel conteso dell’agire politico per sollecitare un altro scenario.
Questo, oltre che nell’assemblea si cerca di condurlo anche in molti altri modi.
Con i “Cantieri”, oltre le Fabbriche dei programmi del ceto politico e dei loro esperti nei loro circuiti chiusi (sempre che i Cantieri stessi od altri Tavoli non si riconducono a questo stessa dimensione).
Magari anche attraverso le Primarie che pure sono un”luogo improprio”, ancora costruito con le modalità degli apparti e con la principale finalità della selezione della rappresentanza ; ma anche campo per un difficile confronto di programmi e progetti , contaminabile forse con istanze della cittadinanza attiva (il caso Vendola questo ha espresso come visto, scompaginando le carte).
Si è tuttavia coscienti che il progetto per il paese non prende principalmente corpo in “fabbriche” ( e nemmeno in "cantieri” per certi versi)“extraterritoriali”; ma ha sede nei processi sociali e municipali in atto.
Il cantiere e la fabbrica diffusa esistono già nei territori, nella relazione tra istituzioni locali e società civile. Si tratta quindi di esprimere il programma e progetti dentro questa pratica di governo dal basso e di partecipazione locale. Estraendone il senso generale.
Questa è la radice a cui richiama la Rete del Nuovo Municipio.
Che si pone comunque alcuni obbiettivi negli altri luoghi di confronto, se praticabili. Anche obiettivi di minima (perché nessuno si illude sul cambiamento rapido delle patologie del “politico” denunciate nel primo punto di queste note) ma essenziali e probabilmente perseguibili.
- Operare, ad esempio, perché (anche in assenza di mutamenti radicali -improbabili- di linee generali) si introducano nei programmi progetti pilota sperimentali su alcuni temi strutturali del municipalismo e federalismo (nuove economie, beni pubblici, welfare municipale). Valorizzare in tal senso comunque pratiche ed esperienze parziali locali (i comuni le province e le regioni partecipative).
- Immettere nella politica degli apparati, almeno semi di coscienza e di riconoscimento della presenza e rilevanza e dei processi di partecipazione, di autonomia, di progetto locale, (nuovi paradigmi della democrazia, neo politica); e della loro capacità di proporr un altro “ordine del discorso” nell’agire politico e nel governo delle politiche pubbliche (il municipalismo, il federalismo, il progetto locale strategico). Aprendo alcuni spostamenti pratici di condizioni e di spazi che consentano elementi di dialogo non episodici su tali temi ed esperienze.
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