Dai “comuni polvere” alle reti di municipi
di Alberto Magnaghi
1) Segni di un percorso neomunicipalista1
La crisi dei modelli regionali centro-periferici che hanno sostanziato il modello socioterritoriale fordista (articolandolo in aree centrali, periferiche e marginali), crisi sancita negli anni ‘70 dall’emergenza della “terza Italia” dei distretti, e successivamente delle tematiche identitarie e ambientali, dalla riscoperta dei giacimenti patrimoniali locali come risorse per la differenziazione degli stili di vita e di sviluppo, ha contribuito a reinterpretare i sistemi della “polvere”dei piccoli comuni e delle “comunità di paese”, restituendo ad essi e alle loro costellazioni reticolari una dignità di modello interpretativo alternativo al modello metropolitano in dissolvenza dell’urbano, nelle sue varianti della “città diffusa” e della “città infinita” (Bonomi e Abruzzese 2004).
L'”avanguardia” dei comuni italiani (8101) costituita da 5836 comuni con meno di 5000, per lo più situati nelle valli alpine, nell’osso appenninico e negli entroterra costieri, storicamente organizzati in sistemi territoriali locali intorno a centri urbani di piccole e medie dimensioni, ha iniziato, nel corso della crisi del modello metropolitano, una “lunga marcia identitaria” di riscoperta della profondità del territorio, delle sue culture e identità locali, artigiane, artistiche, produttive, dei suoi paesaggi urbani e rurali. Prendiamo ad esempio la Val di Bisenzio (ma gli esempi, dalla Val Bormida, alla val Maira, alla valle Argentina, alle valli trentine, alla Val di Cornia e cosi via possono ripercorrere in lungo e in largo i controcrinali alpini e appenninici della penisola). Per lunghi anni la valle ha contratto la sua immagine in quella percepibile dal treno Bologna-Firenze: una distesa lineare di capannoni sul fiume Bisenzio prodotta dal decentramento del distretto tessile pratese, con lo spopolamento dei piccoli centri urbani e rurali della collina e della montagna, l’inquinamento del fiume, la crescita di problemi idrogeologici, la concentrazione abitativa congestionata nel fondovalle. La crisi del tessile da un lato, lo sviluppo culturale degli amministratori dei piccoli comuni della valle dall’altro, i corsi per agenti di sviluppo locale (ANCI, Università), i progetti leader, i Patti territoriali, il PTC della Provincia, ecc. hanno nel tempo fatto lievitare una attenzione crescente ai valori patrimoniali del territorio: i paesaggi collinari della vite e dell’ulivo con i sistemi delle ville-fattoria e dei centri rurali, i castagneti, le abetaie, i percorsi boschivi, i pascoli della Calvana, i beni materiali della cultura, l’archeologia industriale, il parco fluviale. La proposta del PTC, attivata con una conferenza d’area permanente con gli attori pubblici e privati, di un distretto rurale a forte valenza ambientale, la rivitalizzazione del reticolo dei piccoli centri collinari e montani, l’avvio del progetto Bisenzio agricoltura sostenibile (BIAS), un “patto” fra agricoltori biologici, Comuni, Comunità montana, Camera di Commercio, Università, ecc.; in sintesi, un insieme di eventi e di azioni che costruiscono insieme un progetto di innovazione fanno crescere la società locale e la re-identificazione della comunità di valle: si riposizionano a rete i comuni, si ridefiniscono i soggetti dinamici del milieu socioeconomico (compresi gli investimenti dei capitali del tessile in agricoltura avanzata), producendo una scelta di autogoverno del proprio futuro: da un destino strisciante e dipendente di seconde case pratesi, al “ripensarsi” in un progetto di ripopolamento rurale di qualità integrato ad una fruizione di turismo culturale ed escursionistico. Da “comuni polvere” a rete di municipi.
Spostiamoci in Alta Maremma. Il modello industrialista, affiancato alla progressiva dismissione delle miniere, nel corso del novecento aveva risucchiato il complesso sistema orografico delle colline metallifere sulla linea di costa del golfo di Follonica: Italsider di Piombino, Centrale Enel a Torre del sale, industria chimica a Scarlino, turismo di massa a Follonica. Con il procedere della crisi di questo ciclo un’altra immagine di futuro si attiva molecolarmente “risalendo” le colline e la montagna, ripercorrendo la profondità del territorio dimenticato: un sistema di parchi archeologici e naturalistici che da Populonia a Campiglia, a Massa Marittima, a Gavorrano, a Montioni percorrono una stratificazione bimillenaria di civilizzazioni, dagli etruschi alle miniere novecentesche di pirite, al centro siderurgico di Follonica. Un territorio costellato da un sistema di piccole città d’arte, immerse in grandi paesaggi naturalistici, che ritrova nelle produzioni tipiche, nell’artigianato, nell’attivazione di reti corte di produzione e consumo, nella riqualificazione ambientale, territoriale e paesistica, nel sapiente recupero del sistema delle acque sotterranee minate dalla subsidenza, nelle nuove relazioni con la ricerca, la cultura, l’università, i materiali e i soggetti per un nuovo modello di sviluppo locale autocentrato, fondandolo. Un territorio che ripensa in forme ecologiche e culturali, attraverso la valorizzazione dei giacimenti patrimoniali di lunga durata, il proprio rapporto con l’ospitalità turistica e con l’arcipelago toscano. Anche qui i comuni ”polverizzati” dell’industria chimica e siderurgica rinascono come nodi di rete di piccole città. Non è un caso che i comuni del Circondario della Val di Cornia elaborino un unico Piano Strutturale coordinato, frutto di una rinata identità di valle.
Per quanto riguarda i modelli di sviluppo che sottendono a queste trasformazioni è avanzata la consapevolezza, sempre nel quadro della globalizzazione dei mercati, che la risposta locale (regionale e subregionale) non può che muoversi nella ricerca della unicità del proprio “stile di sviluppo” che richiede di impostare i sistemi produttivi sullo scambio di beni irriproducibili altrove: in questo sta il loro “valore aggiunto territoriale “ rispetto ai mercati globali. Di conseguenza i “patti per lo sviluppo “ quali quello umbro, assumono come orizzonte scenari socio-produttivi adatti a mettere in valore le peculiarità dei patrimoni locali (ambientali, territoriali, paesaggistici, culturali, identitari, artistici, produttivi e di stili di vita).
Le varianti di questa conversione culturale, economica, sociale, in cui sistemi territoriali locali e le reti di città che li compongono, fra mille contraddizioni, elaborano ( e, in qualche caso, praticano) vie originali e irripetibili di sviluppo locale, si estendono ormai dalle valli piemontesi, alle Cinque terre, all’Aspromonte (vedasi le politiche di rinascita del territorio montano attuate dal Parco), producendo una nuova geografia dello sviluppo, molto più complessa delle “tre Italie”, che potremmo definire collinare, montana e degli entroterra costieri, incentrata sulla qualità insediativa e produttiva, su relazioni cooperative fra città, su modelli regionali reticolari non gerarchici.
Un segno importante di questa “rivoluzione geografica” (in fondo una fluttuazione verso le armature urbana etrusche e medievali, rispetto alla dominanza insediativa di pianura delle civilizzazioni romana e industriale) è dato dal recente cambiamento delle politiche insediative delle Università: da politiche di mero decentramento funzionale in ambito metropolitano a politiche di territorializzazione regionale dei poli universitari, in stretto rapporto con i sistemi territoriali locali, fino ad assumere funzioni di incubatori dello sviluppo locale, ruolo fortemente richiesto dagli enti locali dei sistemi regionali periferici e marginali. Questo percorso riguarda quasi tutte le regioni italiane ed è particolarmente accelerato in quelle caratterizzate un sistema regionale fortemente policentrico (Veneto, Emilia Romagna, Toscana). In questo rapporto stretto fra riqualificazione dei modelli di sviluppo economico e identitario locale e ricerca e formazione (ad esempio: distretto rurale, archeologia, turismo nel polo universitario di Grosseto, distretto multisettoriale nel polo empolese, riqualificazione delle fasi produttive della fashon valley a Prato, vivaismo nel polo di Pistoia, ecc.) avviene una ridefinizione dei ranghi delle città e dei loro sistemi territoriali locali, indipendentemente dalle dimensioni urbane, ma connessi alla presenza di servizi rari alla persona e all’impresa e di reti corte e lunghe intessute dalle attività di eccellenza produttiva, culturale, artistica.
Consapevolezza del significato di questi percorsi si rivelano anche in documenti istituzionali come i piani di sviluppo della Regione Toscana, dove la ricchezza futura della regione è individuata nella valorizzazione delle peculiarità identitarie dei più di 50 sistemi territoriali locali (la “Toscana delle Toscane”); una visione che supera il precedente modello di sviluppo incentrato sull’ industrializzazione della valle dell’Arno (che inseguiva modelli metropolitani, pur con la forte permanenza di sistemi distrettuali di piccola impresa e di artigianato). D’altra parte, nel generale e progressivo spostamento dell’attenzione degli indicatori dal PIL al benessere, se prendiamo ad esempio la recente ricerca dell’IRPET “Benessere e condizioni di vita in Toscana” (2003), riferita ai sistemi territoriali locali, gli indicatori considerano una complessità di fattori relativi all’ambiente di vita, all’associazionismo, alla comunicazione, alla sicurezza, alla partecipazione, alle relazioni solidaristiche ecc. La graduatoria di benessere che risulta dall’applicazione di questi indicatori mostra una variazione dei ranghi provinciali toscani, dalla tradizionale piramide centro-periferica del capoluogo ad una piramide rovesciata in cui il rango cresce da Firenze (1) a Grosseto (22) a Pistoia (39) a Arezzo (44); “…se si limita l’importanza delle variabili reddituali la graduatoria fa emergere le province con una struttura insediativa policentrica… le grandi metropoli vengono superate dalle città medio-piccole”. Questo motiva ampiamente l’osservazione di Giuseppe De Rita che evidenzia la tendenza “borghigiana” con l’orientamento di quote sempre più consistenti della popolazione a vivere nei piccoli comuni ad alta socievolezza e qualità della vita” nell’ambito di un paese “sempre più profondamente comunitario” (De Rita 2004). Inoltre il riferimento alla dimensione locale del benessere apre la tematica della dimensione soggettiva della sua percezione che è alla base della prospettiva della valorizzazione delle diversità delle culture e degli “stili di sviluppo”. Questa dimensione locale “fa si che la ponderazione cambi da luogo a luogo: se applicassimo il sistema dei valori dei fiorentini per valutare il benessere dei calabresi otterremmo un risultato diverso da quello ottenuto con il sistema di questi ultimi” (IRPET 2003).
Complessità degli indicatori di benessere e peculiarità dei valori del contesto configurano un quadro interpretativo dello sviluppo locale fortemente innovativo: la differenza sostanziale degli attuali percorsi rispetto alla fase di crescita dei distretti degli anni ‘70 e ‘80 consiste in una più complessa relazione con gli elementi che definiscono localmente la qualità della vita, restituendo valore alle peculiarità del patrimonio territoriale locale nella sua complessità relazionale di patrimonio ambientale, territoriale, culturale e socioeconomico. Allora il territorio delle piccole e medie città veniva “messo al lavoro” con attenzione preminente alle propensioni imprenditive, alle relazioni cooperative fra imprese, alle subculture politiche territoriali, alle relazioni famigliari e comunitarie e cosi via. Il giacimento patrimoniale locale era prevalentemente il milieu socioeconomico. L’ambiente insediativo era uno sfondo, un contesto.
Nei nuovi percorsi di reidentificazione comunitaria di valle, di fiume, di reti di città, ecc. l’attenzione ai giacimenti patrimoniali è alimentata dai cambiamenti culturali intervenuti con l’accentuarsi della crisi ambientale, energetica, alimentare, dai processi di mercificazione dei beni pubblici (acqua, servizi, ecc.) e dagli effetti della globalizzazione economica sui sistemi produttivi locali. Questi cambiamenti vanno producendo maggiore attenzione ai valori patrimoniali locali nel loro insieme in quanto indicatore aggregato di benessere: valori ambientali, territoriali, paesistici, artistici, culturali, alimentari, associativi; nella ricerca di modelli di trasformazione dei patrimoni in risorse in forme integrate, sinergiche, durevoli, legando il dove, quanto, cosa come produrre alla realizzazione di “valore aggiunto territoriale”, alla ricerca di aumento di autonomia del sistema locale dalle perturbazioni devastanti del sistema globale.
Se osserviamo ad esempio il Manifesto dell’Associazione per l’Arno (una rete costituita da tutti i comuni rivieraschi con le associazioni sportive, ambientaliste, culturali, locali; con le province, la Regione l’Arpat, l’Autorità di Bacino, consorzi di bonifica, ecc) gli orizzonti progettuali si spostano dal considerare il fiume come rischio (idraulico, inquinologico), al promuoverne i valori ambientali, ecologici, energetici, fruitivi. La comunità che si va costruendo, dalle sorgenti del monte Falterona a Pisa, (e che si avvia a organizzare un “Contratto di fiume” dal basso, sui modelli belgi di Contrat de rivière, percorrendo il sistema fluviale a cavallo, in canoa in bicicletta, organizzando feste, resoconti, progetti, riflessioni culturali nelle tappe urbane del percorso), nel perseguire la restituzione del fiume al territorio (navigabilità, produzione energetica, fruibilità della riviera, percorsi turistici di connessione fra il fiume e i sistemi vallivi, parchi agricoli rivieraschi) attiva in prospettiva una potente risorsa economica (basta pensare alla navigabilità lenta fra Firenze e Pisa) destinata ad agganciare i vari sistemi economici locali a nuove relazioni di commercializzazione dei prodotti locali in un circuito virtuoso della loro rivitalizzazione.
Quando il Presidente della Rete delle città del vino (di Alba) mi chiese, insieme ad altri esperti, di elaborare un Piano regolatore “tipo” delle città del vino, ci mettemmo al lavoro nella consapevolezza che si apriva una nuova fase nella cultura urbana: la produzione di beni di qualità non era più scindibile dalla qualità urbana, del paesaggio rurale che quei beni produce. Il valore aggiunto territoriale è una componente fondamentale per lo scambio di prodotti tipici in paesaggi tipici. Va notato che le reti delle città del vino2, del tartufo, dell’olio ecc., riguardano l’armatura urbana delle piccole e medie città d’arte italiane, da Alba a San Miniato, da Orvieto a Marsala, in ognuna delle quali il rapporto sinergico fra identità urbana e territorio rurale si presenta come una componente essenziale del patrimonio. D’altra parte è dalla qualità della vita nelle piccole e medie città rivitalizzate da reti che si sviluppa il passaggio degli obiettivi dei piani dalla crescita economica al benessere (Toscana) al ben vivere (Umbria, Marche).
Questo modello di comunità che si costruisce nel progetto pattizio, costituente, del futuro dei luoghi, che organizza città medie piccole e grandi in reti non gerarchiche, che ristabilisce rapporti di scambio attivo con il proprio territorio rurale, trova le sue radici di lunga durata non solo nelle relazioni sociali e nei saperi storici che hanno consentito “l’atmosfera” dei distretti, ma ben più lontano: in quella “terra di città”, di città federate che dalle lucumonie etrusche, attraversando i municipi romani, vanno a costituire nel basso medioevo le reti di città che permangono fino ad oggi come l’armatura urbana rilevante che ordina il territorio regionale nelle sue qualità di lunga durata.
Se ci richiamiamo all’origine del concetto di comunità urbana (cosi come viene rappresentata ad esempio dal processo di formazione degli statuti delle città-stato medievali, delle reti di città europee), possiamo individuare una maggiore somiglianza tra gli attuali fermenti di costruzione di comunità urbana nei sistemi territoriali locali come sistemi integrati di reti di città e territorio (nel senso generativo, ri-generativo e di reciprocità descritto da Carlo Cattaneo) e la tradizione culturale urbana della “terra delle città” (Pazzagli.1992), piuttosto che con le “piccole comunità di paese”, che richiamano lo stato di marginalità cui piccoli centri sono stati ridotto dalla civilizzazione industriale. Molte definizioni contemporanee di “reti di città” potrebbero utilmente adattarsi alla reinterpretazione delle relazioni fra le città europee in epoca comunale. Per esempio:
le reti di città sono sistemi di relazioni e di flussi, a carattere prevalentemente orizzontale e non gerarchico, che si stabiliscono fra centri complementari o similari, e che garantiscono la creazione di esternalità o di economie rispettivamente di specializzazione/complementarietà/divisione spaziale del lavoro e di sinergia/cooperazione/innovazione” (Camagni 1993).
Ciò che evidenzio dunque è che i “paesi”, i “piccoli comuni”, vanno superando la deriva semantica moderna che ne indicava la spoliazione di identità, la dipendenza, l’assenza di produzione di cultura, il provincialismo, verso un movimento opposto di ricostruzione “dal basso” delle forme di municipalità in quanto forme di autogoverno e autonomia; movimento che, nel fondare reti, rompe l’isolamento dei piccoli comuni verso un federalismo municipale che si alimenta di queste autonomie per una globalizzazione dal basso.
Molti sono i segni di questo percorso neomunicipalista e delle sue valenze nella rifondazione delle forme della politica (nuovi istituiti della democrazia) e nei contenuti (nuovi modelli di futuro fondati sul benessere).
2) Villaggi, città e regioni in rete: verso il federalismo municipale
Il percorso di rinascita municipale si verifica in diverse direzioni: a) nella scomposizione e ricomposizione reticolare dei grandi aggregati metropolitani e nella polarizzazione dei modelli diffusivi; b) nella costruzione di reti infraregionali; c) nella costruzione di reti lunghe transnazionali.
a) Dalla area metropolitana alla città di villaggi
La ricostruzione comunitaria, base della “City of villages” caratterizza gli studi per il nuovo piano di Londra richiamando la visione anticipatrice della articolazioni della metropoli in comunità del piano di Abercrombie del 1942 (Magnaghi 2005a).
Fare società locale capace di governare il proprio futuro è possibile su dimensioni contenute che consentano forme articolate di partecipazione e codecisione: il tema strategico per la costruzione della regione urbana, è quello dei movimenti molecolari per il superamento della periferia (e della condizione di perifericità, nelle sue diverse gradazioni tipologiche e temporali), in quanto sito emblematico della semplificazione, della dipendenza, della assenza di differenze, di identità, di qualità architettonica e urbana, di relazioni con il contesto. Il tema è stato negli anni passati posto come ricomposizione della metropoli in un sistema complesso di piccole città, o di villaggi, o di quartieri (Magnaghi 1990, Khor 1992, Krier 1984) dotate ciascuna di centralità e confini, di complessità di funzioni produttive e sociali, di spazi pubblici, di istituti di autogoverno, di qualità estetica e ambientale. Più recentemente lo sviluppo di pratiche partecipative (agende 21 locali, bilanci partecipativi, bilanci sociali e ambientali, contratti di quartiere partecipati, progetti Urban, Urbal, Equal, applicazioni della carta di Aalborg, città dei bambini e delle bambine, pratiche locali dell’accoglienza e dei diritti di cittadinanza, ecc.) ha dato corpo alla crescita di cittadinanza attiva, di reti civiche per esperimenti di autogoverno, in cui la scomposizione della metropoli in ambiti accessibili al processo partecipativo è essenziale per la loro ricomposizione in un progetto diverso di futuro della città come sistema policentrico di villaggi o piccole città. La tendenza istituzionale a scomporre le città in municipi dotandoli di maggior autonomia rispetto al decentramento amministrativo (sugli esempi operanti di Roma e Venezia) va nella direzione del consolidamento delle centralità urbane (a partire dall’individuazione delle identità morfotipologiche e culturali), sulla valorizzazione delle individualità e degli strumenti di autogoverno delle singole municipalità attraverso la crescita di processi partecipativi strutturati e di “cantieri” di produzione sociale della città; sulla costruzione di sistemi di relazioni multipolari fra i diversi centri. Portare a compimento il progetto di superamento delle periferie richiede azioni complesse quali la riorganizzazione reticolare dei trasporti pubblici e la pedonalizzazione di vaste aree urbane, lo sviluppo di attività produttive locali3, la diffusione a rete dei servizi rari, la ricostruzione dello spazio pubblico con forme allargate di democrazia partecipata (Magnaghi 2004).
b) Dal modello centroperiferico alla bioregione urbana
Alla scomposizione infraurbana della città metropolitana si accompagnano processi di ridefinizione delle relazioni interurbane della regione. Lo sviluppo crescente di reti interlocali ha l’obiettivo strategico di superare il modello centroperiferico, valorizzando le peculiarità insediative dei sistemi territoriali che compongono la regione stessa, esaltandone la vocazione reticolare policentrica.
Le crescenti connessioni a rete di ogni centro (anche piccolo, ma con forte identità), all’interno di sistemi locali o con l’intero sistema regionale (unione di comuni per la gestione di servizi, per progetti locali di sviluppo, per coordinare le agende 21 locali e i piani urbanistici, per attivare patti territoriali locali, contratti di fiume, ecc), accrescono la complessità e la diversificazione del sistema incrementando le opportunità di scambio fra diversità4. Fondamentale diviene in questo percorso l’attenzione crescente alle politiche ambientali, economiche, paesistiche degli spazi aperti che affrontano in modo integrato la produzione di paesaggi agrari che intrecciano in un disegno unitario produzione agroforestale di qualità e salvaguardia idrogeologica, restauro delle reti ecologiche, il riequilibrio degli ecomosaici più antropizzati, la riqualificazione dei sistemi fluviali e del ciclo delle acque, la riproduzione del paesaggio storico, l’elevamento della qualità urbana; la nuova attenzione nei piani territoriali al progetto dello spazio rurale come produttore di beni e servizi pubblici lo rende parte integrante delle politiche per l’autosostenibilità delle regioni urbane.
In tutte queste esperienze si profila come essenziale una nuova alleanza tra mondo urbano e mondo rurale (che accresce in forme innovative il suo ruolo nella società postindustriale) per porre le questioni ambientali in termini di capacità di autogoverno dei processi produttivi e riproduttivi della comunità locale.
La bioregione urbana costituita da una molteplicità di sistemi territoriali locali a loro volta organizzati in grappoli di città piccole e medie, ognuna in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il proprio territorio può risultare “grande e potente” come una metropoli: anzi è più potente del sistema metropolitano centro-periferico perché produce più ricchezza attraverso la valorizzazione e la messa in rete di ogni suo nodo “periferico”: evita peraltro congestioni, inquinamenti, diseconomie esterne riducendo i costi energetici e i costi da emergenze ambientali, riducendo la mobilità inutile alla fonte, costruendo equilibri ecologici locali, che a loro volta riducono l’insostenibilità dovuta al prelievo di risorse da regioni lontane e impoverite.
Affrontare la città come “regione urbana”5 nella sua valenza “bioregionale” aiuta l’immaginazione progettuale a ridefinire la questione della crescita come questione di esplorazione e misura delle relazioni interne alla regione fra insediamento umano e ambiente, per attivare principi di bioeconomia (Georgescu-Roegen 1966) e di economia sistemica e solidale (Bonaiuti, 2004), orientando i principi insediativi verso l’autoriproducibilità dell’ecosistema territoriale.
c) La costruzione municipale di reti lunghe transnazionali
L’evoluzione europea dei modelli di reti di città che affiancano nelle politiche e sovente si sovrappongono agli stati nazionali, sono molteplici: dalle reti funzionali per i piani strategici (ad es. Barcellona, Lione), alle più di cinquanta reti europee, sovente monotematiche, sui temi della cultura, delle grandi infrastrutture, dell'ambiente, del turismo, dello sviluppo locale, ecc.; fra queste assumono un ruolo strategicamente rilevante le reti municipali finalizzate ad elevare il rango di città piccole e medie e creare nuovo protagonismo municipale nel contesto decisionale europeo. Ciò è testimoniato dal fatto che “la grande maggioranza di reti di città si occupa di progettazione, ossia è in grado di sviluppare progetti e avviare interventi” (Perulli 2004). Alle reti che hanno funzioni prevalentemente legate al rafforzamento di ruoli competitivi e di elevamento del rango urbano, si affianca una molteplicità di reti che promuovono politiche solidali coordinando azioni locali in campo sociale, culturale, ambientale, della partecipazione, della cooperazione decentrata, della pace. Qualche esempio: le reti di comuni dell’Alleanza per il clima; la Rete delle città educative (1990); i Forum delle Autorità locali per l’inclusione locale di Porto Alegre (2001-2004); il new locall Government Network (NLGN,1996);la rete dei comuni dell’Agenda 21 della cultura (Barcellona 2004); la FEDENATUR; l’organizzazzione delle città patrimonio dell’Umanità(OVPM);la rete europea per lo sviluppo rurale (ELARD); le reti enti locali per la pace(mayors for peace) e per il disarmo nucleare (campagna vision 2020); la rete mondiale di città e governi locali uniti (CGLU, Barcellona 2004); la rete di città aderenti alla Carta di Aalborg, di Aarhus, reti europee dei progetti Urban, e cosi via.
Considerando l’insieme di questi tre livelli del processo di ricostruzione dell’autogoverno municipale (urbano, regionale, transnazionale), si può affermare che la densificazione delle reti civiche e dello spazio di relazione ai diversi livelli (in sintesi, il fare società locale) è la condizione prioritaria per il sistema locale per la produzione endogena e durevole di ricchezza e di benessere. Il riposizionamento di ogni sistema locale nella geografia dello sviluppo autosostenibile dipende solo in parte da fattori economici, come sostiene Robert Putnam, ma soprattutto dalla capacità di reinterpretazione, alla luce dei nuovo problemi, del patrimonio storico di tradizioni di vita civile e di autogoverno locale che affondano le loro radici nel passato6.
3) La rete del nuovo municipio
Il carattere fondante delle reti di municipi a carattere solidale a tutti i livelli territoriali è, da una parte, il carattere locale e partecipativo dei diversi campi d’azione, che costituisce un forte impulso alla crescita delle società locali e alla loro capacità di produrre cambiamenti strategici nel campo della democrazia partecipativa, dei consumi, delle finalità produttive, del governo dell’ambiente, della diversificazione culturale, della cittadinanza inclusiva e degli stili di sviluppo; e dall’altra una forte esigenza di divenire interlocutori e in molti casi promotori delle politiche e europee e globali, fino ad ora prevalentemente dipendenti dagli accordi fra stati nazionali. In questa direzione il federalismo municipale proietta forme e ruoli nuovi delle città nelle politiche sopranazionali, aprendo una prospettiva di un’Europa delle regioni e delle municipalità.
In questi percorsi si colloca la rete italiana del Nuovo Municipio (www.nuovomunicipio.org) nata dalla “Carta del nuovo Municipio”7, presentata e discussa ai Social forum di Porto Alegre 2002, Firenze, Parigi 2003). Essa fa parte della famiglia di reti di azione locale a finalità solidale e trasformativa, con una particolarità rispetto alle altre: essa è composta oltre che da enti locali (comuni, province, circondari) da reti universitarie di laboratori di ricerca-azione e da associazioni (nazionali e locali) che operano in campo sociale, ambientale e culturale, con lo scopo di promuovere processi partecipativi strutturati per lo sviluppo locale autosostenibile.
La suggestione è partita per molti di noi dalla Rete delle piccole città dell’Italia centrale divulgata negli anni ‘90 dalla rivista Eupolis, il cui statuto, elaborato da un centinaio di Comuni a Cortona evidenziava regole di buon governo ecologico del territorio, la valorizzazione delle peculiarità dei luoghi, la necessità di federare le piccole città per elevarne il rango senza perdere la qualità della vita delle relazioni di equilibrio con il proprio territorio e della qualità urbana. Ma da allora le reti di città si sono moltiplicate in molte direzioni.
Sicuramente il movimento delle reti di città è proceduto dalle città piccole e medie, ma si è rapidamente saldato con i processi di partecipazione in atto nei quartieri metropolitani: non è un caso che la Rete del Nuovo Municipio nasca a Empoli (sede di un Circondario di piccoli comuni) e da molti altri piccoli comuni toscani; da esperienze di democrazia partecipativa come Grottammare, Pieve Emanuele, Mezzago, Trezzo d’Adda, Zola Predosa, Follonica, per svilupparsi in città medie come Ivrea, Piacenza, Pistoia, Cosenza, Ragusa e grandi come Firenze, Venezia; municipi come quelli di Roma e Venezia, per approdare in fine a province come quella di Milano, di Ascoli Piceno, di Biella, di Parma, di Venezia, ecc.
Le azioni che la rete pratica nei laboratori territoriali consistono sostanzialmente nel promuovere, attraverso processi partecipativi strutturati, l’impegno dei comuni nel fare società locale, stimolando la crescita degli attori locali portatori di energie virtuose verso la costruzione dello sviluppo locale autosostenibile, valorizzando in particolare esperienze di economia etica, di azione sociale e ambientale solidale e di costruzione di cittadinanza inclusiva.
4) Nuove esperienze delle municipalità verso l’autogoverno
La crescita di consapevolezza di molti amministratori locali del ruolo dei giacimenti territoriali locali nel produrre unicità, differenziazione, autenticità, qualità e durevolezza dei sistemi produttivi e di consumo, incoraggia sempre più gli enti pubblici territoriali ad assumere funzioni integrate di governo del territorio, in primo luogo di sviluppo di sistemi economici a base locale a livello regionale e subregionale. Questa tensione politica è naturalmente in conflitto e in controtendenza rispetto al processo in atto di svuotamento di sovranità degli enti locali, con il taglio della finanza locale e con la privatizzazione e mercantilizzazione dei beni comuni (acqua, energia, servizi, ecc) nell’ambito della globalizzazione economica neoliberista.
Questo conflitto in atto per la trasformazione di ruolo degli enti locali da marginale a centrale, nel governo di economie autocentrate sui sistemi territoriali locali, rappresenta un importante momento di rinnovamento delle forme della politica, in quanto principale vettore della ricostruzione dello spazio pubblico della città e delle reti di città, attraverso il coinvolgimento “pattizio”di una pluralità di attori nella gestione di un bene comune, il territorio, riconosciuto come fonte primaria della costruzione della ricchezza.
Questo doppio movimento - il patto contrattuale fra i cittadini-produttori in una società complessa, munticulturale e multietnica, e il loro riferirsi al municipio o a reti di municipi come sedi di autogoverno dello sviluppo - genera il nuovo spazio pubblico della città, di cui lo “statuto dei luoghi”8 rappresenta il “patto costituzionale”.
Lo sviluppo di istituti di democrazia partecipativa
E’ in atto un percorso “rifondativo”, attraverso la democrazia partecipativa, delle forme e degli statuti della politica che intreccia nuove forme di democrazia locale, con l’estensione sociale delle forme contrattuali e pattizie di decisione. Non è un caso che la Rete del Nuovo Municipio stia lavorando con la Regione Toscana ad una proposta di legge regionale sulla partecipazione, improntata al federalismo municipale.
L’evoluzione in atto delle esperienze più avanzate di democrazia partecipativa avviene seguendo due direzioni:
a) la trasformazione dei tavoli negoziali e pattizi da forme consociative di pochi attori “forti” a sistemi decisionali inclusivi di rappresentanze di interessi legate alla complessità del mondo associativo e degli interessi sociali deboli;
b) l’evoluzione delle forme di partecipazione da momenti episodici e consultivi a eventi che investono in forma strutturata e tendenzialmente decisionale l’azione pubblica. Questa strutturazione avviene secondo i seguenti percorsi:
- l’inclusione negli statuti comunali della scelta di attivare nuove forme di democrazia partecipata come regola permanente di governo;
- il coordinamento delle esperienze specifiche ed episodiche di partecipazione attivando una sede unica di partecipazione strutturata, con carattere continuativo per tutte la fasi del processo decisionale, per affrontare a tutto campo le trasformazioni del modello locale di sviluppo verso scenari di futuro socialmente condivisi;
- l’assegnazione di risorse specifiche ai processi partecipativi, facendo evolvere il processo dalla costituzione di assessorati ad hoc verso l’organizzazione di processi partecipativi in tutti i settori dell’azione pubblica;
- il riconoscimento di piena dignità alle diverse forme di conoscenza, dando valore a narrazioni collettive nelle quali siano ricondotte a senso comune, rese comprensibili e capaci di interloquire fra loro, conoscenze esperte e conoscenze di contesto;
- il privilegio degli attori sociali deboli, o comunque sottorappresentati nei processi di concertazione ufficiali, in quanto potenziali portatori di energie virtuose per la produzione della trasformazione verso l’autosostenibilità.
Con questi percorsi è possibile superare un processo partecipativo che si limita alla redistribuzione di piccole quote della spesa pubblica, verso un processo che produce nuova ricchezza durevole mettendo in valore le energie sociali nella valorizzazione dei giacimenti patrimoniali locali.
La valorizzazione degli attori dell’ economia etica e solidale versus l’ economia mercantile e di profitto
I processi più interessanti di democrazia partecipativa avviati nell’esperienza italiana e sviluppati dalla Rete del nuovo Municipio si fondano sul concetto di autosostenibilità, che riguarda la capacità di una comunità locale di produrre benessere in forme durevoli, consentendo la riproduzione e la valorizzazione allargata delle proprie risorse patrimoniali (ambientali, territoriali, umane), senza sostegni esterni (ovvero con gigantesche impronte ecologiche) e con scambi solidali e non di sfruttamento con il sud del mondo; questa prospettiva è praticabile a condizione che siano valorizzati gli attori portatori di finalità etiche (in campo ambientale, sociale culturale) e che siano in grado di possedere saperi e tecnologie appropriate per produrre ambienti insediativi, beni, servizi, innovazione riprendendo in questi processi coscienza e sapienza individuale e collettiva di ciò che si produce, di ciò che si consuma, di come si abita in ciascun luogo.
Questa riappropriazione dei saperi da parte degli abitanti-produttori si configura come rivalutazione di saperi tradizionali e/ o utilizzazione appropriata di nuove tecnologie finalizzate alla costruzione di benessere; come sviluppo delle conoscenze legate alle peculiarità dei giacimenti patrimoniali del “saper fare” mediato dalle culture locali, dai modelli socioculturali di lunga durata e, contemporaneamente, dal riconoscimento come risorsa della compresenza multiculturale e multietnica in ogni luogo che porta saperi, tecniche culture peculiari. Il multiverso di attori a valenza etica, che caratterizza anche la variegata composizione sociale dei nuovi movimenti (da Seattle in poi) è caratterizzato da componenti sociali ed economiche che sono accomunate non solo da una critica e da azioni conflittuali rispetto ai modelli dominanti di globalizzazione economica, ma anche dalla produzione di progetto sociale, dalla riappropriazione diretta di saperi produttivi, la costruzione di nuovi simbolici e immaginari; da pratiche di vita e di consumo alternative a livello locale e reti solidali a livello globale.
I campi in cui questi saperi e azioni sociali e produttive si vanno costruendo nelle esperienze italiane sono molti ed estesi, dall’agricoltura al terziario avanzato. Ne esemplifico alcuni:
-la produzione di cicli agroalimentari autosostenibili: sul piano della qualità e della tipicità dei prodotti si vanno diffondendo reti di città legate alla qualificazione dei prodotti tipici in relazione alla valorizzazione dei paesaggi e dei giacimenti culturali locali per economie integrate e per un turismo enogastronomico sostenibile; sviluppo di produzioni biologiche legate alla diffusione dell’agriturimo, del turismo rurale e alle trasformazioni della domanda; sviluppo di iniziative formative (fattorie didattiche, università9) che mettono in relazione attività produttive, saperi e culture locali con l’innovazione della qualità alimentare; centri di archeologia arborea per la riproduzione delle cultivar locali; esperienze di ecovillages; parchi agricoli10 che esperimentano progetti integrati nella filiera agricoltura, ambiente turismo-cultura; fiere orientate alla diffusione di modelli e tecniche innovative nel produrre, abitare, consumare, governare le trasformazioni ecologiche del territorio11, con riuso appropriato delle medie tecnologie;
-la costruzione di filiere produttive locali e reti corte fra produzione e consumo: attivazione nel territorio rurale di strutture complesse di produzione, didattica, commercializzazione e consumo12 che rivitalizzano saperi e culture locali, riducono la circolazione delle merci, sviluppano le tecnologie del recupero ambientale, e territoriale;
-la sperimentazione di prodotti agricoli nofood in sostituzione dei composti di sintesi impiegati nei processi produttivi e nei prodotti (ad esempio del settore tessile) e per la produzione di combustibili da fonti rinnovabili; bilanci energetici per la produzione di energia con mix energetici appropriati ad ogni bioregione; progettazione di minicentrali idrauliche che riusano localizzazioni e impianti di mulini e opifici storici (Val di Bisenzio, fiume Pescara); progetti di minicentrali eoliche e per il trattamento delle biomasse;
-la costruzione di Reti e di distretti di economie solidali (RES), che organizzano cooperative e mocroimprese insieme alle associazioni dei consumatori (gruppi di acquisto solidale (GAS), di consumo critico, reti di commercio equo), ai risparmiatori-finanziatori (Banca etica, associazioni per il microcredito, assicurazioni etiche), agli enti locali, per la creazione di filiere di produzione-distribuzione-consumo di beni e servizi valorizzando le risorse territoriali locali13; favorendo la crescita delle produzioni di nicchia come nella “Città dell’altra economia”14 o trasformando i parchi in laboratori di nuove economie autosostenibili15;
-la rivalutazione comunicativa, formativa e tecnica degli antichi mestieri artigiani: le associazioni degli antichi mestieri, il recupero delle tecniche costruttive locali, i manuali di restauro locale; lo sviluppo degli ecomusei (Biella , valli cuneesi) che riconnettono tecniche e culture produttive al territorio e alle sue peculiarità identitarie, e che costituiscono elementi di una nuova relazione fra innovazione tecnologica e tradizione;
-la autoproduzione dell’ambiente urbano, di una nuova generazione di servizi nel campo della vita urbana (bioedilizia, mobilità, energia, alimentazione, il tele ufficio, ecc.)16;
-l’uso delle tecnologie informatiche nei processi partecipativi17, nell’innovazione dei Sistemi Informativi Territoriali per la rappresentazione dei giacimenti patrimoniali locali18;
-i piani urbanistici che attivano strumenti di partecipazione per la produzione di modelli di sviluppo locale autosostenibili, che modificano la produzione di conoscenza e le capacità di azione collettiva sulla trasformazione durevole e sostenibile dei giacimenti patrimoniali locali19.
Questi esempi riferiti a diversi campi dell’azione sociale innovativa nella ricostruzione di saperi e nella riappropriazione sociale della capacità di autogoverno locale stanno producendo un riavvicinamento progressivo dei produttori-abitanti alle finalità della produzione e ai mezzi tecnici del loro controllo; finalità che l’affidamento dei processi ai grandi apparati produttivi ed economici aveva allontanato stellarmente dall’orizzonte della vita quotidiana.
La tessitura lillipuziana di questi campi di azione attraverso i processi partecipativi descritti e attraverso un più sistematico supporto ai settori no-profit (Bruni e Zamagni 2004) consente ai municipi di ri-fondare la sovranità sul proprio territorio, sede di scorrerie crescenti delle reti finanziarie e dei capitali globali che hanno prodotto frammentazione, polverizzazione e dipendenza; e di restituire alle città e ai loro sistemi territoriali locali, attraverso nuove aggregazioni “volontarie”, un ruolo di ossatura portante nella costruzione di un’Europa che valorizzi i propri giacimenti patrimoniali esaltandone le differenze culturali, identitarie e produttive.
Riferimenti bibliografici
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Note
1 Pubblicato in Communitas n° 3/4, giugno 2005, Milano.
2 Come riferimento per il, panorama delle iniziative vedi ad esempio la rivista “Terre del vino” (dal 2002), Siena.
3 "Le attività produttive locali si riferiscono innanzitutto ai processi di autoriproduzione: manutenzione urbana, servizi di base e di mutuo soccorso, orti urbani e mercati locali, cura dell’ambiente, attività culturali e ricreative, attività di autocostruzione, artigianato locale, piccolo commercio; questo complesso di attività di vicinato favorisce lo sviluppo di relazioni di scambio non mercantili, di reciprocità, di fiducia: in altri termini consente la costruzione di spazio pubblico come autoriconoscimento del patrimonio comune da mettere in valore." (Magnaghi 2000)
4 Ad esempio nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Prato (Magnaghi 2004b) la valorizzazione del patrimonio territoriale e ambientale dei sistemi periferici collinare e montano ha consentito di ipotizzare la complessificazione del sistema produttivo distrettuale tessile con l’attivazione di un distretto agroalimentare di qualità (Montalbano) e un distretto rurale turistico (Val di Bisenzio), ridefinendo una regione urbana costituita da tre sistemi territoriali locali e funzioni reticolari di interscambio fra centri maggiori e minori dei tre sistemi.
5 Faccio riferimento alla definizione di regione urbana per denotare un insieme di sistemi territoriali locali fortemente antropizzati, interrelati fra loro da relazioni ambientali caratterizzanti una bioregione (un sistema vallivo, un nodo orografico, un sistema collinare, un sistema costiero e il suo entroterra,ecc) e caratterizzati al loro interno dalla presenza di una pluralità di centri urbani e rurali.
6 "Spesso una gilda antica si trasformava nel settecento in una “pia società”, diventando a sua volta una società di mutuo soccorso che incoraggiava le cooperative, le quali di seguito costituivano le fondamenta dei sindacati e dei partiti politici di massa" (Putnam, 1993).
7 Promossa da A. Magnaghi, G.Paba, M.Giusti, G. Allegretti, C. Perrone (Univ. Firenze), G. Ferraresi, A. Calori (Polit. Milano), A. Tarozzi (Univ. Bologna), A. Marson (IUAV Venezia), E. Scandurra (Univ. Roma La Sapienza), A. Giangrande, E. Mortola (Univ. Roma III).
8 Per una definizione di “Statuto del territorio” rimando alla LR 1/2005 sul governo del territorio della Regione Toscana. Il termine di statuto, ovvero di autoriconoscimento condiviso dei valori (ambientali, territoriali, culturali) di una comunità locale, richiama sicuramente la cultura degli statuti delle città- stato medievali.
9 L’università di Pollenzo (Piemonte) di Scienze gastronomiche promossa da Slowfood (Arci), Regione Piemonte Emilia Romagna, produttori locali; un’iniziativa di valorizzazione di un patrimonio locale che produce saperi, tecnologie e culture di eccellenza a livello globale (saperi e sapori, banca del vino, riferimento mondiale per la cultura enogastronomia e la politica dell’alimentazione di qualità (nutrizionismo e tecnologie alimentari (agronomia,zootecnia, tecnologie alimentari, storia, antropologia, attraverso la messa in valore delle culture e dei saperi locali.
10 Un esempio è il Parco agricolo sud Milano che, riqualificando tecniche tradizionali di coltivazione insieme al riuso delle acque reflue depurate di Milano si propone di riattivare un ciclo di relazioni complesse fra città e il suo territorio rurale: alimentazione, ambiente, paesaggio, fruizione culturale, ecc.
11 Esempi di promozione di prodotti agroalimentari e di tecnologie appropriate per la riconversione ecologica sono la tradizionale Fierucola del Pane (Firenze dal 1990) , la Fiera delle Utopie Concrete Città di Castello dal 1995) , Terra Futura (mostra ?convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità), Firenze 2004-2005.
12 Ad esempio il Consorzio Radici formato a Suvereto (Toscana) da Università, aziende agricole, società di servizi, si propone attraverso il recupero di una antica fornace, attività integrate di recupero ambientale,didattiche, di filiere agricole, di reti corte di commercializzazione di prodotti tipici locali della Maremma.
13 Esempi di queste pratiche sono i Distretti di economia solidale (www.altraeconomia.org) attivi a Roma, Mezzago, in Brianza Torino, Alessandria, Milano.
14 L’assessorato alle periferie del Comune di Roma ha promosso reti per la valorizzazione di economie solidali (commercio equo e solidale, energie rinnovabili, agricoltura biologica, finanza etica, riciclo e riuso, softyware libero, nuovi media, ecc), ed ha recuperato un ampio edificio dimesso (ex mattatoio) per “La città dell’altra economia” (www.autopromozionesociale.it).
15 E’ il caso del Parco dell’Aspromonte in Calabria che sta trasformando un sistema montano di abbandono e di economie illegali in un laboratorio sperimentale di riqualificazione dei saperi locali, dei patrimoni urbani e ambientali, di processi di ospitalità didattica e culturale. L’introduzione di una moneta locale , l’Ecoaspromonte, oltre a calmierare i prezzi, ha avuto una importante funzione nella ricostruzione di legami sociali e identitari.
16 Una sintesi esauriente di queste proposte del design urbano per la sostenibilità si trovasi nel catalogo della mostra della Triennale di Milano (Manzini E. Jegu. F 2003)
17 Reti e siti internet, telestreets, ecc.
18 Un esempio è costituito dagli Atlanti del patrimonio del Circondario Empolese Valdelsa (Toscana) dove si sperimentano tecniche innovative di GIS in grado di rappresentare le identità ambientali, territoriale, paesistiche, socioculturali di un sistema territoriale locale; per la trattazione generale del tema delle tecniche informatiche di rappresentazione identitaria dei luoghi vedasi: A. Magnaghi (a cura di), (2005b)
19 Alcuni esempi: oltre ai già citati casi di valorizzazione delle aree collinari e montane nel PTC di Prato e dei processi di riappropriazione fruitiva del fiume promossa dall’Associazione per l’Arno, richiamo ad esempio il PRG del Comune di Grottammare (Marche)che, attraverso la forza di un processo partecipativo esteso e strutturato, ha portato alla riduzione di un milione di metri cubi destinati al turismo di massa valorizzando le produzioni tipiche vivaistiche, la qualità ambientale e paesistica, modificando radicalmernte lo scenario di futuro del territorio;il piano socioeconomico e territoriale delle due valli Bormida e Uzzone (Piemonte) ha raccolto gli esiti culturali della mobilitazioni contro la fabbrica chimica Acna di Cengio per consolidare la rivalutazione delle risorse territoriali locali, saperi artigiani, culture agroforestali, il fiume, i terrazzamenti i borghi collinari, ecc).