BILANCI PARTECIPATIVI - F.A.Q.
di Giovanni Allegretti
IL BILANCIO PARTECIPATIVO
Il processo di Bilancio Partecipativo sperimentato da 16 anni nella città brasiliana di Porto Alegre (e ormai in altre 200 città brasiliane e di altri Paesi del mondo tra cui circa 50 casi europei) inizia ad essere noto anche in Italia, tanto che dal giugno 2001 su stimolo del dibattito suscitato dai 4 Forum Sociali Mondiali, dai 4 Forum delle Autorità Locali per l'Inclusione Sociale, dalle Best Practices ONU e dal programma euro-latinoamericano URB-AL - si contano già una decina di città in Italia che ne stanno tentando un’emulazione critica, ovviamente adattandone la filosofia generale e i fondamentali principi ispiratori ai nostri molteplici e differenti contesti sociopolitici, economici e culturali (le più avanti in questa capacità di ‘creazione’ autoctona sono Grottammare, Pieve Emanuele e il Municipio XI di Roma).
COSA È IL BILANCIO PARTECIPATIVO?
In termini generali, il Bilancio Partecipativo potrebbe essere definito come un processo decisionale che consiste in un’apertura della macchina statale alla partecipazione diretta ed effettiva della popolazione nell’assunzione di decisioni sugli obiettivi e la distribuzione degli investimenti pubblici.
Si caratterizza come processo partecipativo di discussione sulle proposte di Bilancio (Circoscrizionale, Municipale, Provinciale, Regionale, ma al limite anche di impresa, ecc.) che si snoda durante tutto l’anno fino a disegnare una proposta articolata di Bilancio per ogni anno di gestione successiva, sulla base delle richieste della cittadinanza.
Per lo più, esso può immaginarsi come un processo di perfezionamento per gradi dei documenti di Bilancio (e in particolar modo dei Piani degli Investimento in Opere e Servizi) discusso e partecipato dagli abitanti del territorio di riferimento del processo stesso, e caratterizzato da una rigida temporalizzazione fissata per il compimento delle scelte nelle sue diverse fasi di articolazione. Es.: un ciclo annuale di discussioni nel 2002 porta alla Proposta di Bilancio per il 2003, che deve essere poi ratificata entro dicembre ad es. dal Consiglio Comunale.
ESISTONO MODELLI DI BILANCIO PARTECIPATIVO A CUI ATTINGERE?
Esistono numerosi esempi di sperimentazione fra loro diversi a cui è possibile guardare con interesse.
Il Bilancio Partecipativo non andrebbe considerato come uno ‘strumento’ esclusivo per stimolare un senso attivo di cittadinanza, e la partecipazione degli abitanti alle scelte concernenti i loro territori di vita o di lavoro. Esso dovrebbe essere solo un componente del ‘Sistema di Partecipazione Cittadina’ da coordinarsi con altre istanze di partecipazione di ambito areale o tematico, che coinvolgano i cittadini ‘a monte’ e ‘a valle’ di tutte le scelte che riguardano il proprio territorio.
Volendo sintetizzare all’estremo, attualmente è possibile riconoscere due grandi famiglie di Bilanci Partecipativi:
obiettivi di democratizzazione dei poteri istituzionali locali, e prevede margini maggiori di autonomia nella decisione per i cittadini partecipanti ai processi di discussione dei bilanci.
partecipazione in forma maggiormente ‘consultiva’, perseguendo primariamente obiettivi di messa in trasparenza e di gestione efficiente delle risorse pubbliche.
Entrambi i tipi di processo collocano il proprio intervento ‘a monte’ dei momenti decisionali per legge riservati alla sottoscrizione delle scelte da parte dei Consigli Comunali (Regionali, ecc.), sui quali la cittadinanza è chiamata ad esercitare pressione e controllo perché le indicazioni fornite dai cittadini non vengano disattese con troppa facilità e senza spiegazioni confacenti dai rappresentanti eletti.
PERCHÉ PROPRIO IL BILANCIO?
Perché - occupandosi di distribuzione di risorse per lo più originate dalle tasse dei cittadini - ha al contempo un forte valore simbolico e pratico: gestisce denaro, e proprio su questo le amministrazioni accettano di ‘aprire’ parte del loro potere decisionale all’intervento diretto dei cittadini.
Il Bilancio non è quindi l’unico settore dove sia proficuo mettere in campo processi di rinnovo della gestione in senso partecipativo, ma è certo un ambito ‘strategico’, percepito sovente dai cittadini come ‘segnale forte’ della reale volontà di cambiamento da parte delle istituzioni, e quinti diviene luogo potenziale di primaria importanza per la ricostruzione del rapporto tra cittadini e politica.
CHI PROMUOVE IN GENERE IL BILANCIO PARTECIPATIVO?
Nell’ambito dei loro poteri di consultazione della cittadinanza nella messa a punto delle politiche territoriali, in genere sono:
- A livello Comunale: il Sindaco e la Giunta
- A livello Regionale: la Giunta e il suo Presidente
- A livello Provinciale: la Giunta Provinciale
- A livello di Circoscrizioni cittadine: il Presidente della Circoscrizione e i suoi collaboratori
In realtà quest’indicazione di percorso è puramente un suggerimento. È, infatti, astrattamente possibile che simili processi prendano piede anche in conseguenza di pressioni esercitate dalle istituzioni con carattere che - per comodità - chiameremo più ‘legislativo’ (Consigli Comunali, Circoscrizionali, Provinciali, Regionali, ecc) o addirittura che vengano promosse da organismi di livello istituzionale superiore, attraverso incentivi e linee di indirizzo che premino (per visibilità o nelle fasi di distribuzione di fondi) le amministrazioni di grado inferiore che si impegnano ad attivare processi strutturati di partecipazione alle scelte contenute nei bilanci. Ad es.: in Germania sono stati i Lander a stimolare i Comuni ad attivare processi di Bilancio Partecipativo.
SU CHE RISORSE DECIDE IN GENERE IL BILANCIO PARTECIPATIVO?
Non vi è una regola univoca. In genere si cerca di condividere con i cittadini la gestione delle risorse con carattere maggiormente ‘flessibile’, ad esempio quelle destinate ad opere e servizi.
Neppure la percentuale delle voci messe sul tavolo della discussione tra abitanti ed amministrazione è indicabile come fissa, seppur sarebbe auspicabile che si avvicinasse alla totalità delle risorse disponibili.
In città come Porto Alegre, la popolazione discute il 100% delle spese di investimento in opere e servizi, che rappresenta una percentuale annualmente variabile tra il 15% e il 25% delle spese comunali. Questa ‘fetta’ aperta alla discussione è cresciuta nel tempo (era solo il 3% nel 1989 ed è aumentata grazie a importanti riforme fiscali locali e politiche nuove di tassazione dei suoli), continuando però a escludere quel tipo di spese (come quelle per la gestione corrente e il personale) che il Comune avoca a sé sia per la loro complessità e le loro implicazioni finanziarie e sindacali, sia per mantenere un ruolo propositivo e organizzativo/gestionale attivo.
Col tempo, però, attraverso Commissioni miste divise in segmenti di 1/3 (popolazione civile, rappresentanti comunali ed esponenti di sindacati degli impiegati municipali), in molte città si è arrivati anche a proporre collettivamente misure di riduzione della spesa e assunzioni di nuovo personale.
COME FUNZIONA IL BILANCIO PARTECIPATIVO?
Anche qui non esistono regole organizzative a priori. Gli stessi strumenti della discussione con i cittadini possono essere ‘informali’ (assemblee aperte, sondaggi, questionari distribuiti alle famiglie, piazze tematiche, ecc.) o più ‘formali’ (referendum cittadini o circoscrizionali, consulte e commissioni, ecc.).
Sarebbe sempre auspicabile che nell’ambito del Bilancio Partecipativo esistessero due percorsi principali e paralleli di discussione e decisione allargata:
a) momenti di discussione organizzati sulla base di una suddivisione della città per ambiti territoriali
b) momenti di discussione organizzati su base tematica, cioè sulla base di ambiti di dibattito a tema che coinvolgessero l’intero territorio di riferimento come un tutto integrato e complesso.
Questi ultimi ambiti sono necessari:
1) sia per coinvolgere nel dibattito cittadino segmenti di popolazione già organizzata su base associazionistica, sindacale o professionale
2) sia per discutere di temi ‘strategici’ su base cittadina (o regionale) e non micro-locale
3) sia per recuperare alla discussione tematiche ‘minoritarie’ che potrebbero tendere ad essere automaticamente estromessi dalla distribuzione dei fondi decisa o suggerita dagli abitanti.
La cittadinanza può, del resto, tendere a concentrare il dibattito in maniera quasi monopolistica su alcuni temi, ed è pertanto importante che le amministrazioni svolgano un ruolo di ‘riequilibrio’ per calibrare e bilanciare tutti i settori dell’intervento sulla città, garantendo che siano almeno tutti esaminati in fase dibattimentale.
Sarebbe anche auspicabile che gli ambiti territoriali di suddivisione e decentramento individuati nei diversi territori esaminati non seguissero meramente confini amministrativi ‘imposti dall’alto’ ma si articolassero sulla base di fasi di libera discussione fra i cittadini incentrate sul riconoscimento identitario e sul senso di appartenenza degli abitanti di questa o di quella parte del territorio.
CHE FORME SI DANNO GENERALMENTE I PROCESSI DI BILANCIO PARTECIPATIVO?
Molto diverse. L’importante è che i processi di discussione siano al massimo grado ‘includenti’ e non privilegino quindi solo i gruppi di cittadini già strutturati, che potrebbero agire come ‘lobbies di pressione’ e in tal caso andrebbero adeguatamente identificate perché ogni pressione sia esercitata ‘a cielo aperto’ e resti in un quadro di trasparenza, basilare per offrire a tutti i cittadini certezza delle regole che caratterizzano il percorso di discussione e decisione.
Ad oggi, i Bilancio Partecipativo tendono a porsi come importanti luoghi ‘di riequilibrio’ delle voci interne ai territori: pertanto cercano di coinvolgere con forme di ‘discriminazione positiva’ categorie di abitanti non in possesso di diritti politici formali (ad esempio i minorenni e gli stranieri).
In genere, i Bilanci Partecipativi mescolano momenti assembleari di democrazia diretta e momenti di democrazia rappresentativa in cui dei nuovi rappresentanti popolari con ‘vincoli di mandato’ discutono e approvano gli indirizzi di spesa della città (con relative localizzazioni degli interventi) che le Giunte poi armonizzano con le proprie autonome proposte, rimandano ai cittadini per una valutazione, ed infine fanno propri presentandoli poi ai Consigli che per legge restano in genere gli unici veri responsabili dell’approvazione dei bilanci.
Nelle Assemblee pubbliche del Bilancio Partecipativo, si dimostra utile che i rappresentanti delle istituzioni abbiano l’obbligo della presenza, ma non abbiano diritto di voto nei momenti di votazione degli indirizzi o delle priorità indicate dai cittadini, per garantire la salvaguardia dell’autonomia organizzativa e decisionale dei cittadini e un tipo di dialogo franco tra società ed istituzioni, senza eccessiva commistione di poteri.
Il principio dell’autogestione dei processi da parte dei cittadini è spesso determinante per la riuscita dei processi di Bilancio Partecipativo: in tal caso, regolamenti interni possono garantire regole organizzative chiare nell’arco di ogni anno di discussione, ma in grado di mostrarsi flessibili e cambiare annualmente in periodi prestabiliti di revisione critica attuati con il concorso paritario di abitanti e istituzioni.
COME FUNZIONANO, NEI CASI DI MAGGIOR SUCCESSO, I MOMENTI ASSEMBLEARI DI DISCUSSIONE?
Le Assemblee sono aperte a tutti i cittadini, organizzati ma anche singoli, aspetto - quest’ultimo - che costituisce il grande salto di qualità rispetto a tradizionali forme di partecipazione della Società civile alla formulazione delle politiche, riservate spesso solo a rappresentanti di specifiche Associazioni o Entità organizzate che tolgono al cittadino singolo o disorganizzato ogni ruolo attivo che vada al di là del diritto di voto ad ogni elezione ufficiale, o di quello individuale di critica.
LE RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRAZIONE PER UNO SVILUPPO SCIENTIFICO DEL PROCESSO
I momenti assembleari eventualmente contemplati non potranno costituire che una piccola parte del lavoro svolto nell’ambito del Bilancio Partecipativo. In ogni caso, infatti, la capacità di autorganizzazione e mobilitazione spontanea dei cittadini - pur importante - non esaurisce i criteri decisionali del processo di ‘bilancio partecipativo’; in molte realtà, essa ha trovato col tempo alcuni meccanismi riequilibratori delle possibili ingiustizie che cela ogni meccanismo che può tendere a legittimare i ‘poteri forti’ (di qualunque natura essi siano) e a non accrescere la forza di quanti si trovino - per varie ragioni - ‘ai margini’ della società.
Grande ruolo devono svolgere in quest’opera di raggiungimento di una ‘giustizia distributiva’ i rappresentanti politici eletti e le organizzazioni della società civile, sostenendo l’introduzione di criteri il più possibile ‘oggettivi’ relativi alla popolazione beneficiata dai vari interventi e alla carenza di strutture, da usare per valutare la congruità delle aree scelte per gli interventi maggiori. Spontaneamente, infatti, i cittadini potrebbero sostenere metodi basati sull’etica del lavoro, per cui chi più partecipa più benefici deve ottenere per il suo territorio.
La ‘trasparenza’ dei meccanismi di valutazione del bisogno e distribuzione degli investimenti è oggi una delle maggiori certezze che le Istituzioni sono chiamate a garantire, curando la massima divulgazione e l’apertura di ogni informazione e dando visibilità ed effettività al processo. Oggi esistono nei regolamenti interni di molti Bilanci Partecipativi delle norme attente a garantire questa ‘equità’, in forma di griglie di punteggi da attribuire ai vari fattori di giudizio, per identificare le aree cittadine più bisognose di interventi urgenti.
Una delle maggiori responsabilità delle Amministrazioni sarà proprio quella di garantire la rapida concretizzazione di tutte le opere richieste nel Bilancio Partecipativo, per evitare che la ‘delusione’ per la mancata realizzazione dei lavori priorizzati ingeneri nuova sfiducia nei cittadini e quindi un calo della partecipazione alle assemblee.
Le Istituzioni elette dovranno, infine, essere sempre presenti ai dibattiti con i loro massimi rappresentanti, fermo restando che detti rappresentanti non hanno diritto di voto. La presenza costante delle Autorità elette (nelle persone dei loro massimi rappresentanti) ai momenti di discussione con gli abitanti avrà molteplici obiettivi:
1) ascoltare la cittadinanza e interagire con le sue richieste e proposte valutandone costi, fattibilità e coerenza con gli obiettivi strategici di sviluppo del territorio
2) costruire ‘scenari di riferimento’ valorizzando l’esperienza dei propri tecnici
3) formulare proposte di spesa motivando le proprie indicazioni, le critiche e i suggerimenti correttivi in modo comprensibile
4) monitorare il processo di Bilancio Partecipativo per coglierne i limiti, le opportunità di mutamento propositivo e le possibilità ampliamento della partecipazione
QUALI POTREBBERO ESSERE NOVITA’ E RISULTATI MAGGIORI DEL BILANCIO PARTECIPATIVO?
Il Bilancio Partecipativo ha rimesso l’accento sul bilancio (a lungo caricato di un valore quasi ‘politicamente neutro’ e puramente tecnico, una mistificazione che celava il suo forte contenuto di ‘luogo di scelta politica’) come strumento di controllo dei cittadini sui propri eletti che deve farsi ‘trasparente e intelligibile’, e soprattutto ne ha recuperato visibilmente il contenuto politico di luogo in cui si tratta di decidere dei ‘fini’ del governo urbano, prima ancora che dell’ottimizzazione dei mezzi per il loro raggiungimento.
La discussione con i cittadini è ‘effettiva’ perché non si tratta di semplice consultazione.
Si tratta, al contrario, di una reale apertura ancorché promossa e sviluppata nella prassi dalle Giunte e non necessariamente codificate in legge - della macchina amministrativa al controllo dei cittadini e al loro coinvolgimento diretto nelle scelte maggiori che riguardano il loro territorio.
Il Bilancio Partecipativo offre il suo maggiore contributo nel prendere decisioni ‘sugli obiettivi’ delle politiche territoriali, proprio perché ciò che i cittadini decidono non sono solo le priorità tematiche di investimento e le singole opere da realizzare in tutta la città, ma quello che alla fine si costruisce collettivamente è proprio il concetto di ‘bene comune’ (o meglio: di ‘beni comuni’) per la propria città.
È quindi un processo partecipativo che ha un forte valore decisionale di tipo ‘strategico’, non limitato a orientare le istituzioni su meri dettagli realizzativi o a costruire ‘consenso’ su scelte già pre-compiute.
La sperimentazione del Bilancio Partecipativo in varie realtà locali non solo ha mostrato importanti contenuti pedagogici e capacità di mobilitare le risorse costituite da una cittadinanza attiva ed impegnata nella co-gestione del territorio, ma attraverso la ridemocratizzazione e la ‘messa in trasparenza’ del governo locale - ha anche facilitato le operazioni di ‘accountability’ e il raggiungimento di un’elevata ‘efficienza gestionale’ coniugata all’efficacia delle politiche intraprese attraverso la costruzione di scelte condivise.
Ha inoltre permesso spesso la costruzione di ‘patti sociali’ allargati alle componenti più deboli della cittadinanza e la crescita di consensi politici nel tempo per molte delle amministrazioni che hanno osato rischiare questa apertura al controllo e all’intervento diretto dei cittadini sul proprio operato. Inoltre, è stata spesso strumento di approvazione consensuale di scelte altrimenti difficili da compiere, se non supportate da una condivisione di difficoltà, attese, obiettivi e vantaggi prevedibili almeno nel medio e lungo termine.
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