I diritti di cittadinanza nella prospettiva del Nuovo Municipio
a cura di Moreno Biagioni (Consulta Immigrazione ANCI Toscana e ARNM) e Mercedes Frias (Assessore, Comune di Empoli e ARNM) - Gennaio 2006
Le prime risposte a livello locale
E' a livello locale che, di fronte all'arrivo dei migranti, si "producono" le prime risposte - nel senso dell'accoglienza e dell'inclusione -.
Innanzitutto, è dalla società civile organizzata che viene un impegno solidale e di tutela dei diritti (dalle organizzazioni di volontariato - tipo la Caritas -, dall'associazionismo, dai sindacati, dai centri sociali).
Mentre, in linea generale, si è teso, e si tende ancor oggi, a fare dell'immigrazione essenzialmente una questione di ordine pubblico, dando luogo a leggi e normative - vedi la Bossi-Fini, ma non solo - che hanno come punto centrale il come difendersi dai nuovi arrivati (potenziali attentatori alla sicurezza degli "indigeni"), molte realtà sul territorio, in controtendenza, li considerano invece persone e cittadini e si comportano di conseguenza.
Gli enti locali sono le istituzioni che più direttamente avvertono l'impatto degli immigrati e sono perciò a contatto con le donne, gli uomini, i bambini provenienti da altri paesi, nonché con le esperienze di accoglienza e d'inserimento messe in atto in ambito sociale.
Al di là delle campagne "contro", imperniate sulla sindrome da invasione, che continuamente si sviluppano sugli organi d'informazione - e che trovano un punto di riferimento preciso nelle forze politiche "imprenditrici del razzismo" -, le amministrazioni comunali si trovano a dover affrontare, mancando di mezzi finanziari adeguati e di conoscenze specifiche, i problemi riguardanti, molto concretamente (e tanto per esemplificare):
- il funzionamento degli uffici anagrafici, in difficoltà al momento di registrare persone con idiomi diversi, delle quali, spesso, non si riesce a comprendere nemmeno la grafia dei nomi e dei cognomi;
- l'accesso ai servizi essenziali di chi incontra barriere non architettoniche, ma linguistiche e psicologiche, derivanti dalla non comprensione delle regole e delle modalità di funzionamento dei servizi stessi;
- l'inserimento nelle scuole dei minori stranieri, anche di quelli con genitori in condizioni di irregolarità;
- la prima accoglienza a quanti provengono da situazioni di guerra, o, comunque, di persecuzione e di violenza, in assenza, quasi sempre, di provvedimenti in proposito da parte del governo centrale ed in presenza, invece, di un continuo aumento dei conflitti generatori dei profughi, nelle diverse parti del mondo;
- la costruzione di livelli accettabili di convivenza in comunità locali su cui incidono profondamente le campagne indicate in precedenza.
Crescono di conseguenza, perché in qualche modo imposte dalla realtà dei fatti, alcune esperienze significative, basate, per lo più, su un positivo rapporto fra l'ente locale e quelle associazioni, realtà di base, organizzazioni sindacali e del volontariato che hanno costituito, fin dal primo momento, il tessuto sociale impegnato sul terreno dell'accoglienza e della tutela dei diritti.
Si avviano anche iniziative che riguardano il rapporto fra culture diverse, enfatizzando per certi versi l'aspetto delle differenze e correndo così il rischio del differenzialismo, su cui in effetti si basa il razzismo odierno, non più piattamente antropologico, ma, appunto, differenzialista (in soldoni, "i migranti hanno culture diverse, perciò, in primo luogo per il loro bene, se ne stiano nei paesi di origine, evitando così processi di assimilazione e alterazioni, offuscamenti, annullamenti delle proprie radici culturali").
Si inizia, nel contempo, a dare spazio alla partecipazione dei migranti alla vita politico-amministrativa locale (vedi l'istituzione della figura del consigliere straniero aggiunto - la sua elezione si ha per la prima volta al Comune di Nonantola, in provincia di Modena, nel 1993 -).
L'influsso dei movimenti di fine ed inizio secolo
E' nel contesto del "movimento dei movimenti" - quello che rimette in discussione il neoliberismo imperante ed ha punti di riferimento importanti negli incontri mondiali di Porto Alegre - che nasce e si sviluppa la prospettiva del nuovo municipio. Si tratta, secondo tale elaborazione, di costruire un punto di riferimento per una globalizzazione dal basso basata sull'affermazione dei diritti (in contrapposizione a quella imposta dai poteri forti) e sull'incontro dei livelli istituzionali locali con i soggetti emergenti, espressioni delle realtà e delle esperienze vive e vitali del territorio (anche di quelle "insurgenti", per usare un termine "zapatista").
Evidentemente non possono mancare, fra questi soggetti vecchi e nuovi, concretamente operanti in un'ottica di impegno solidale, quelli che si misurano con le tematiche dell'immigrazione, che portano avanti le istanze dell'accoglienza e dell'inclusione, che esprimono le esigenze dei migranti, dei richiedenti asilo, dei profughi.
L'idea di città a cui ci si ispira è infatti quella della città-tenda propugnata da Giovanni Michelucci, che si adatta, si trasforma, cambia in ragione delle persone e delle culture che accoglie e che trovano in essa un'occasione di incontro, di confronto, di scambio, di "meticciamento", in contrapposizione alla città-fortezza, che si difende con tutti i mezzi dai nuovi arrivi, ed alla città-carcere, che ha parti ben delimitate, in cui, in qualche modo, sono rinchiuse le sue diverse componenti, con una frattura netta fra le zone bene e quelle dei senza voce e senza diritti, (comprendente, ovviamente, anche la maggior parte degli immigrati).
E'compito del nuovo municipio ampliare i confini della partecipazione, trovando canali e strumenti che diano spazi e possibilità a chi tradizionalmente ne viene escluso.
La partecipazione intesa nel modo consueto comporta modelli sostanzialmente concertativi, in cui sono i soggetti forti ad avere voce in capitolo.
Occorre, di conseguenza, operare, al riguardo, un rovesciamento, per cui l'attenzione deve concentrarsi in primo luogo sugli ultimi, sugli esclusi, sui discriminati, su chi non conta nelle scelte fondamentali, riservate ai cosiddetti "realisti"- e severamente vietate agli "utopisti" (categorie a cui appartengono coloro che operano per la difesa dell'ambiente, le variegate espressioni dei movimenti, a partire da quello pacifista, quanti si occupano di consumo critico e di commercio equo e solidale, le soggettività femminili e femministe, le associazioni impegnate a tutela dei diritti, le realtà autorganizzate dei migranti) -.
In sintesi, i terreni fondamentali, su cui si verifica se si sta veramente procedendo verso la realizzazione, anche se lentamente progressiva, di un nuovo municipio - oppure si rimane nell'ambito dell'istituzione locale di vecchio tipo, che si limita a gestire l'esistente e non si presenta come agente di trasformazione -, sono essenzialmente due: da un lato quello dell'idea di città a cui ci si ispira, dall'altro quello dell'ampliamento della partecipazione, con elementi fortemente innovativi.
La nuova consapevolezza degli amministratori locali in tema d'immigrazione
E' grazie al loro essere a stretto contatto con i nuovo arrivati ed alle contaminazioni provocate dai movimenti e dalle realtà di base presenti sul territorio, attive sul terreno della solidarietà e della tutela dei diritti, che un certo numero di amministratori locali - non la maggioranza, indubbiamente, ma nemmeno una ristretta cerchia di élite - maturano una nuova consapevolezza in tema d'immigrazione.
Si hanno così esperienze di taglio diverso, ma tutte con aspetti di notevole interesse. Va rilevato, innanzitutto, come sia proprio localmente che si individuano degli obiettivi - vedi la rivendicazione del passaggio di competenze in materia di soggiorno dalle questure agli enti locali -, divenuti poi di valenza generale, o che viene rilanciato il tema della partecipazione dei migranti alla vita politico-amministrativa dei comuni e delle province (con la costituzione, su basi elettive, come si è già accennato, di strumenti di rappresentanza quali i consiglieri aggiunti ed i consigli degli stranieri - dopo che le Consulte previste dalla legge nazionale, la cosiddetta legge Martelli, avevano avuto risultati fallimentari all'inizio degli anni 90 -).
Ed è sempre con un ruolo determinante degli enti locali che si realizza, sebbene con molte difficoltà, il PNA (Progetto Nazionale Accoglienza), nato per iniziativa dell'ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), dell'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), del Ministero dell'Interno, al fine di garantire un minimo di accoglienza - a chi arriva da situazioni di guerra, di persecuzione, di oppressione - e tradottosi, attualmente, nel Servizio Centrale per i Richiedenti Asilo ed i Profughi (ostacolano la riuscita piena del progetto, comunque ben al di sotto delle necessità, l'inadeguatezza e l'incertezza del contributo finanziario governativo, nonché la mancanza di una legge specifica in tema di rifugio, che dia finalmente piena attuazione al dettato costituzionale in proposito).
L'acquisizione maggiore, però, che si ha da parte degli amministratori - di una parte degli amministratori -, è il considerare davvero i migranti come componenti a pieno titolo della comunità locale in cui sono inseriti. Non si hanno più ospiti e ospitanti e non si ha più, essenzialmente, laddove "scatta" questo salto di qualità, la classificazione dei residenti in serie diversificate - dalla A dei cittadini a tutto tondo alla Z delle non persone dei campi Rom -, ma ci si trova di fronte uomini, donne, bambini, tutti sullo stesso piano, a cui assicurare servizi, pari opportunità, canali di partecipazione.
Su questa linea di tendenza, si sono avuti enti locali che hanno:
- interloquito con gli immigrati che prospettavano un nuovo utilizzo delle zone urbane socialmente "inutilizzate", essendo parte di movimenti di occupanti di immobili in stato di abbandono e di degrado (in altre parole, appartenendo alla "città insurgente");
- ricercato un rapporto positivo con realtà autorganizzate di migranti, in specie di donne, che andavano oltre il consueto aggregarsi in base al paese di origine e si ritrovavano invece a lavorare insieme su programmi e su progetti;
- svolto azione di tutela dei diritti dei migranti anche di fronte alle questure ed alle prefetture, a stretto contatto di gomito con l'associazionismo e le organizzazioni del volontariato;
- operato, in qualche modo [individuando spazi e possibilità nell'ambito delle normativa ed anche andando al di là di essa, in certi casi] per difendere gli immigrati dalle conseguenze nefaste di una legge "punitiva" come la Bossi-Fini;
- aperto vertenze con gli organismi dello Stato, rivendicando il rispetto della Costituzione, dei trattati internazionali, dei principi contenuti nelle dichiarazioni universali sui diritti delle persone.
E' su alcuni di questi punti qualificanti che si basa, fra l'altro, la Carta d'intenti degli amministratori e dell'associazionismo toscani, la cui ultima versione (dopo una prima elaborazione del 1993 ed un'altra del 1998, con alcuni aggiornamenti dovuti all'uscita della legge Turco-Napolitano) ha ricevuto l'approvazione del Direttivo dell'ANCI Toscana nel giugno del 2003 (dopo essere stata, per anni, il punto di riferimento principale dell'accordo di programma fra i comuni della zona dell'Empolese/Val d'Elsa "per la pianificazione e la gestione degli interventi per i migranti", il primo del genere in Italia - risale al 1994 -, ed una delle poche intese in materia, fra più enti locali, concretamente operanti a tuttoggi sull'intero territorio nazionale).
Certo, non tutto si è svolto linearmente ed in modo uniforme, in un Paese attraversato da campagne xenofobe, da ricorrenti sindromi da invasione, da radicate ossessioni securitarie. Accanto agli amministratori a cui abbiamo accennato in precedenza, ve ne sono altri che sono giunti a togliere le panchine dai viali della propria città, perché non vi ci "accampassero" gli immigrati - protagonista di questa assurda vicenda quel Gentilini, allora primo cittadino di Treviso, famoso anche perché avrebbe voluto sparare ai migranti in veste di leprotti -, oppure ad emanare ordinanze che imponevano agli islamici di mantenere una distanza "di sicurezza" dalle chiese cattoliche.
Proprio perché non vi fosse il rischio che gli immigrati cadessero nelle grinfie dei sindaci leghisti (per lo meno questa fu la giustificazione che si accampò allora), buona parte delle forze di centro-sinistra non appoggiarono la proposta di legge elaborata dalla Rete Antirazzista, nel 1997/98 (condivisa, fra gli altri, dall'ANCI Toscana), con cui si sosteneva il trasferimento di competenze, in materia di soggiorno, dalle questure agli enti locali.
Non si teneva conto, con tali ragionamenti:
- del fatto che comunque vi sarebbero state delle norme nazionali a cui gli amministratori locali, in qualità di ufficiali di governo, avrebbero dovuto attenersi per il rilascio dei permessi di soggiorno;
- del maggior controllo democratico esercitabile sul comune rispetto alla questura;
- dell'evidente impatto simbolico che avrebbe avuto il trasferimento in questione (il migrante non più oggetto di particolari attenzioni da parte degli uffici di polizia, e quindi potenzialmente pericoloso per la comunità, ma cittadino del comune al pari degli altri);
- della necessità di un coinvolgimento, il più ampio possibile, dei cittadini in un confronto sui temi della convivenza e della lotta alle discriminazioni da sviluppare sul territorio, avendo, appunto, come punti di riferimento, le istituzioni locali.
In effetti, anche a causa del mancato avvio di un processo del genere, ci siamo ritrovati, tutti, in balia di ministri leghisti, neo-fascisti, razzisti (e di leggi aberranti come la Bossi- Fini).
La cittadinanza di residenza come punto qualificante del nuovo municipio
Mentre, in qualche modo, in tema di immigrazione, ci si doveva difendere dalle nuove normative e si doveva far fronte ad un clima generale sempre più difficile, in seguito allo sviluppo del circuito vizioso guerra-terrorismo-guerra (che causava maggiori ostilità, diffidenze, comportamenti repressivi, specialmente nei confronti degli islamici), cresceva anche un movimento, di respiro europeo, con un obiettivo ben preciso: la cittadinanza di residenza.
Si trattava - si tratta - di una vera e propria rivoluzione, dal punto di vista concettuale: l'essere cittadino, collegato tradizionalmente alla nazionalità, viene intrecciato invece al fatto di vivere su un determinato territorio, con tutte le conseguenze, ed i diritti, che ne derivano (primo fra tutti quello di voto).
E' su queste basi che è stata varata una raccolta di firme, in vari Paesi d'Europa, in calce ad una petizione che rivendica il diritto di voto per i migranti alle elezioni locali ed a quelle del Parlamento Europeo. Tale campagna è in atto, in questi mesi, anche qui in Italia, promossa dall'ARCI e dai sindacati confederali e sostenuta, in diverse situazioni, dai comuni e dalle province. Ed è sempre sulla base del principio della cittadinanza di residenza che, ad opera di alcune istituzioni locali, è stata rilanciata, nel corso del 2004, l'iniziativa per il conseguimento del diritto di voto da parte dei migranti (il Comune di Genova, seguito poi da altri, ha modificato il proprio Statuto in modo da attribuire l'elettorato attivo e passivo a tutti i residenti, compresi quelli stranieri, alle elezioni comunali - in proposito si è sviluppata una vertenza che ha come controparte il Governo, da cui è stata annullata la relativa delibera comunale, e che finirà probabilmente di fronte alla Corte Costituzionale, costituendo comunque una forte sollecitazione dal basso per una legge nazionale sul diritto di voto ai migranti -). Anche la Regione Toscana si sta muovendo in tale direzione: dopo aver inserito nel nuovo Statuto un articolo che la impegna a promuovere il diritto di voto per i migranti, ha confermato attualmente la propria volontà di cambiare in tal senso la propria legge elettorale. In proposito, va rilevato, non si muovono soltanto alcune amministrazioni, ma pure l'ANCI Nazionale, che ha sollecitato i comuni a:
- cambiare gli statuti, come hanno fatto Genova, Calenzano, Ancona (e intendono fare Venezia, Cosenza, Pisa - comune e provincia -, Empoli), nonché Forlì e Firenze, ed altri ancora, per quanto riguarda i Consigli Circoscrizionali;
- sostenere la rapida approvazione di una legge nazionale, ordinaria e non costituzionale, che attribuisca il diritto di voto alle elezioni amministrative alle cittadine ed ai cittadini stranieri (un disegno di legge in proposito lo sta preparando l'ANCI stessa);
- estendere gli organismi di rappresentanza dei migranti all'interno di ciascun ente.
Le indicazioni che scaturiscono dalle esperienze in atto
Dalle esperienze positive sviluppatesi localmente, a macchia di leopardo, si possono trarre una serie di indicazioni, che servano in qualche modo da bussola alle comunità locali, intese sia come istituzioni che come società civile attiva.
Ed ecco, quindi, cosa è importante [nonché possibile (perché da qualche parte è pur stato fatto)], realizzare, in modo urgente e prioritario, ciascuno sul proprio territorio (ancor prima che si riesca a cambiare la legislazione nazionale -ad abrogare la Bossi-Fini ed a ripartire su basi del tutto nuove-, anzi utilizzando le diverse realtà territoriali come dei laboratori in cui costruire gli indirizzi politici del dopo-Berlusconi).
Si può, come amministrazioni locali, scendendo nel concreto e tanto per esemplificare, senza la pretesa di essere esaustivi:
- attribuire un punteggio apposito ai migranti, in quanto tali (tenendo conto, quindi, delle discriminazioni che essi subiscono a causa della loro condizione ), nei concorsi per l'assegnazione di alloggi pubblici;
- attivare politiche della residenza, di concerto con altri enti (Regioni, Aziende territoriali per l'edilizia pubblica etc.), con gli imprenditori, con altre categorie interessate al lavoro dei migranti;
- promuovere specifiche agenzie casa che intervengano sul mercato a sostegno dei soggetti più deboli (migranti e non solo) e fare comunque da garanti di fronte ai pregiudizi ed alle diffidenze che gli immigrati, nonché altre persone discriminate, incontrano, quando vorrebbero sia avere un alloggio in affitto sia contrarre un mutuo ai fini dell'acquisto di un appartamento;
- certificare - questo è un compito che spetta proprio all'istituzione comunale - l'idoneità delle abitazioni, al di là dei metri quadrati richiesti ai sensi della normativa, rendendo così possibili i ricongiungimenti familiari, i rinnovi dei permessi/contratti di soggiorno, il rilascio delle carte di soggiorno [in Toscana tale intervento è notevolmente facilitato dalla recente delibera della Giunta Regionale che indica come parametro da utilizzare per la certificazione in questione le persone a vano - due -, intendendo come vano anche la cucina se superiore a mq. 14, e non i metri quadrati];
- sostenere concretamente le famiglie nei percorsi di regolarizzazione dei propri collaboratori stranieri (lavoratrici e lavoratori di cura - "badanti" nel linguaggio leghista, oggi purtroppo usato a livello generale -, domestici), facendosi carico, come è stato messo in atto dal Comune di Venezia, di un contributo consistente - ed anche dell'intero costo della pratica di regolarizzazione, per le famiglie meno abbienti -;
- dare la residenza, con modalità specifiche, pure a chi dimora in strutture precarie, presso affittacamere, o comunque in locali i cui proprietari rifiutano agli affittuari la qualifica di residenti (il rilascio della residenza, da parte del comune, con la relativa iscrizione anagrafica, risulta indispensabile al fine di poter accedere a servizi essenziali ed esercitare alcuni diritti - ad esempio, per iscriversi al Servizio sanitario Nazionale -);
- creare strutture di prima e seconda accoglienza (foresterie temporanee che consentano di cercare alloggi più adeguati etc.);
- fornire strumenti di orientamento, di informazione, di apprendimento dell'italiano, di consulenza giuridica (costruendo anche una rete che colleghi i vari sportelli e permetta loro una maggiore efficacia);
- costituire degli osservatori e dei centri - collegati possibilmente alla rete di cui al punto precedente - che svolgano azione di monitoraggio ed assumano iniziative nei confronti delle discriminazioni in atto a livello di istituzioni e di società;
- sviluppare forme di interpretariato sociale e di mediazione linguistico-culturale che elimino gli ostacoli nell'accesso agli uffici ed ai servizi;
- intervenire a sostegno dell'inserimento dei minori stranieri nelle scuole;
- organizzare corsi di formazione mirati, sulla base delle esigenze sia dei migranti che della propria realtà territoriale;
- contribuire alla crescita del protagonismo dei migranti, fornendo loro spazi e strumenti per l'autorganizzazione;
- garantire anche a coloro che sono in condizioni di irregolarità, oltre al diritto allo studio se minori ed il diritto alla salute - come previsto dalla legge -, le misure di assistenza sociale essenziali;
- operare per l'attribuzione del diritto di voto alle cittadine ed ai cittadini stranieri (vedi quanto già prospettato in precedenza).
Vi sono poi alcuni temi di carattere generale, o simbolico - oltre al diritto di voto -, su cui gli interventi delle comunità locali possono essere di indirizzo e di stimolo per un cambiamento di rotta a livello nazionale (e per leggi regionali più incisive).
Ci riferiamo in particolare:
- all'azione per la chiusura dei CPT (Centri di Permanenza Temporanea per migranti irregolari) esistenti e per impedirne la costruzione di nuovi [di grande importanza, al riguardo, l'iniziativa di 14 Regioni realizzatasi a Bari nel luglio scorso, promossa da Niki Vendola, e quanto è stato fatto in diverse realtà locali, dove si è detto un no deciso all'istituzione di tali Centri -];
- alla costruzione di reti regionali per l'accoglienza e l'inserimento dei richiedenti asilo e dei profughi, che diano respiro e sviluppo alle asmatiche politiche in atto (il Servizio Centrale, già citato) e che siano di stimolo all'approvazione di una legge nazionale adeguata in proposito;
- all'attenzione specifica che deve essere prestata alla condizione della donna immigrata, doppiamente emarginata - in quanto immigrata ed in quanto donna -, prendendo in considerazione particolarmente quante svolgono il lavoro di cura (è urgente prospettare interventi che le tolgano dall'attuale stato di semi-schiavitù e vadano nel senso di un profondo rinnovamento del welfare locale, di cui l'assistenza agli anziani ed ai disabili è componente essenziale);
- ai progetti speciali che occorrono al fine di superare le situazioni più gravi di emarginazione e di segregazione esistenti, quelle dei cosiddetti campi nomadi, nei quali sono in buona parte confinate le popolazioni Rom e Sinti, composte, oltre che da cittadini italiani, da profughi provenienti dai Paesi della ex Jugoslavia;
- alla programmazione di interventi di carattere eccezionale rivolti ai migranti in carcere, che soffrono di condizioni e limitazioni notevoli, superiori a quelle, pur gravissime, di cui risente la generalità dei detenuti;
- alla promozione di un ampio confronto politico-culturale che incida profondamente sul senso comune, ponga in primo piano i diritti di cittadinanza, crei il clima idoneo per lo sviluppo di effettivi processi di convivenza.
Il nuovo municipio, come si è già detto, non può fare a meno dei migranti, dei richiedenti asilo, dei profughi, delle loro esigenze, dei loro contributi, delle loro proposte, sia proposito di un profondo rinnovamento dei servizi, sia sotto il profilo urbanistico (delle città che cambiano, si rinnovano, si "modernizzano"), sia nell'ottica di una riconsiderazione dei processi educativi e formativi.
Siamo ad un bivio: o il mondo, a partire dalle città, riesce a liberarsi della guerra, della violenza - contro le persone e contro la natura -, del razzismo, delle discriminazioni, delle diseguaglianze, della povertà, dei fondamentalismi di varia natura, oppure, molto probabilmente, non avrà futuro alcuno.
Sono in gioco - ed è questione certo da non delegare a quelli che ci hanno condotto a questi estremi limiti - la democrazia, la civiltà, la sopravvivenza del nostro pianeta.
26/10/2005